Le nuove professioni sviluppatesi a seguito della digitalizzazione hanno conquistato attenzione a livello normativo: gli influencer, in particolare modo, hanno visto la nascita di un sindacato e di associazioni di categoria, mentre i rider, la realizzazione di un proprio CCNL, che regolamenta la loro professione.
Quanto accaduto risulta propiziatorio per due fattori: il primo è relativo al primato registrato dall’Italia, divenuto primo paese a dotarsi di un contratto di categoria mirante a regolare il rapporto di lavoro di questi soggetti.
Il secondo, ancor più importante, riguarda l’apertura delle relazioni sindacali alle nuove tipologie di lavoro, indice del fatto che effettivamente ci si trova al passaggio di testimone dal mondo tradizionale a quello digitale.
Per l’analisi di quanto accaduto è necessario fare una premessa sullo status degli influencer e sull’evoluzione del contesto nel quale questi operano.
Il mondo del digitale è più volte intervenuto con modifiche sostanziali incidendo sulle modalità attraverso le quali la prestazione di lavoro viene richiesta e resa, ed inoltre, il mondo del lavoro si è dovuto adeguare alle nuove richieste degli utenti e dei clienti finali, sempre più collegati in rete. Per rispondere a queste esigenze, sono nate professioni nuove come i blogger e nello specifico gli influencer, anche se, analizzando il termine nella sua accezione letterale, i cosiddetti “influenzatori” sono sempre stati presenti nel contesto lavorativo.
Tuttavia, ad oggi, queste nuove professioni sono concepite in modo completamente differente, in quanto sono pervase dall’ambiente multimediale e dal digitale.
Alla voce “influencer” del vocabolario Treccani infatti, si legge: “personaggio popolare in rete, che ha la capacità di influenzare i comportamenti e le scelte di un determinato gruppo di utenti ed, in particolare, di potenziali consumatori e che viene utilizzato nell’ambito delle strategie di comunicazione e marketing”.
Oggi la popolarità in rete non è più fine a se stessa ma viene considerata funzionale per influenzare le scelte d’acquisto dei consumatori, visti come follower. Infatti sono sempre più e sempre più disparate le società che stipulano contratti con personaggi più o meno famosi del mondo dei social media, direttamente o tramite agenzie.
Nonostante ciò però, la figura dell’influencer, che gioca un ruolo chiave nelle strategie commerciali e di marketing dei brand più rinomati, nell’immaginario collettivo dell’opinione pubblica è vista come una forma di hobby ed espressione artistica e fatica quindi a trovare una propria specifica regolamentazione.
A fronte dunque delle diffuse lacune normative, nel Luglio del 2020, un gruppo di “instagrammer” britanniche, ha fondato il primo sindacato, noto come “The Creator’s Union”, che nasce con l’intento di difendere questa professione occupandosi di assistere le influencer e l’azienda sui rapporti contrattuali e quindi sulla correttezza e trasparenza del compenso.
L’obiettivo secondario è quello di promuovere un corretto utilizzo dei contenuti sulla rete, la quale, come è risaputo, è soggetta a limiti e restrizioni in virtù dell’innumerevole quantità di utenti e della normativa che tutela la privacy e gli utenti stessi. Infine, si propone di sviluppare e promuovere campagne su temi del settore.
Volendosi focalizzare sullo scenario europeo ed in particolare Italiano, non sembrano esistere iniziative che si occupino di difendere i diritti del lavoratore e curare i rapporti tra le parti sociali. Al contrario però, si registra la presenza di agenzia di Networking il cui scopo è quello di creare, pianificare e realizzare campagne di marketing digitale di successo sfruttando la portata e l’influenza delle personalità dei social media.
Attualmente, in Italia, l’unica associazione di categoria presente è “l’Associazione Italiana Influencer”, costituita nel Giugno 2019 al fine di tutelare la categoria professionale.
Per quanto riguarda la regolamentazione giuridica, l’influencer marketing, non è regolamentato in maniera puntale dal legislatore nazionale e questa situazione ha giustificato l’elaborazione giuridica svoltasi nella prassi che ha necessariamente dovuto confrontarsi con le differenti problematiche derivanti dall’affermazione di questa nuova forma di comunicazione.
Nell’ordinamento italiano uno dei principi riconducibili al contratto di influencer marketing è quello dell’autonomia negoziale, sancito dall’articolo 1322 c.c., che permette agli interessati di scegliere liberamente come configurare i loro interessi, deducendoli in accordi tra loro efficaci, a prescindere dalla presenza di una disposizione tipica. I profili contrattuali, aventi forza di legge tra le parti, assumono particolare rilievo nella gestione del rapporto tra il brand e l’influencer, in quanto questi devono essere in grado di tutelare tanto il personaggio quanto l’impresa, nel contesto del digital advertising.
Stipulare un contratto è un’esigenza segnalata dagli stessi player del settore: all’interno del “Report sullo stato dell’Influencer Marketing” redatto dallo IED nel 2019, si segnala come la metà delle imprese intervistate, si auspicasse la presenza di un accordo vincolante e che i principi fondamentali venissero succintamente delineati dal legislatore.
Tale contratto, diffusosi nella prassi, si configura quindi come formalizzazione giuridica di una realtà economica sviluppatasi nel tempo.
L’auspicio è naturalmente quello di poter arrivare, in tempi brevi, alla costituzione di sindacati di categoria di influencer, nonché a definire i caratteri della professione e finanche a regolamentarla.
Come logico, dietro questo auspicio non v’è l’obiettivo di snaturare una professione eterogenea, flessibile e per molti difficile da inquadrare, ma quello di utilizzare gli strumenti forniti dal Legislatore per assicurare un adeguato livello di tutela agli influencer oppure, laddove necessario, di creare strumenti nuovi tramite normative ad hoc, così da garantire la crescita di questo settore emergente e sempre più predominante.