Nelle ultime ore Meta è finita di nuovo nell’occhio del ciclone, e questa volta la polemica non giunge dall’Europa, ma dalla terra in cui ha sede il quartier generale dell’azienda, gli Stati Uniti.
Nello specifico, è stata indetta una maxi causa contro il colosso social da parte di ben 41 Stati americani. L’accusa rivolta all’azienda di Zuckerberg è di intrappolare i minori in un universo fatto di contenuti dannosi, che finiscono per creare una dipendenza dalle piattaforme di proprietà dell’azienda.
Non è la prima volta che Meta si ritrova al centro di questo tipo di accuse. La differenza, a questo giro, è nella portata della denuncia. Non era mai successo che la quasi totalità degli Stati americani si schierasse contro Meta, e portasse avanti una “class action” contro il colosso, denunciandone l’operato.
Nel plico di fogli di oltre duecento pagine che costituisce le accuse da parte degli Stati, si afferma che Meta, in particolare tramite Facebook e Instagram, ha violato le leggi sulla protezione dei consumatori, ingannando gli utenti sulla sicurezza delle sue piattaforme e progettando dinamiche quali lo scroll infinito e notifiche persistenti al fine di manipolare psicologicamente i giovani, spingendoli a un utilizzo compulsivo dei social. Infine, i procuratori generali hanno anche accusato Meta di aver violato una legge federale sulla privacy online dei bambini, accusandola di aver raccolto illegalmente i dati degli utenti più giovani senza il permesso dei genitori.
La risposta non ha tardato ad arrivare. In un comunicato, Meta ha dichiarato di lavorare da anni costantemente nell’ottica di rendere i propri social un ambiente sicuro per gli adolescenti. Emerge anche delusione da parte del colosso, che si dice amareggiato dal fatto che gli Stati americani, al posto di collaborare con le aziende per fissare degli standard chiari e adeguati nell’industria tecnologica, abbiano scelto la strada legale.
SF