Il decreto Milleproroghe, approvato prima dal Governo e poi dal Parlamento nei giorni scorsi, prevede dal 28 febbraio al 30 giugno un prolungamento del regime straordinario di lavoro agile senza accordo scritto tra datore e dipendente.
Lo smart working senza accordo aziendale viene prorogato per due categorie di lavoratori: i fragili e chi ha figli sotto i 14 anni. Tale diritto può essere fatto valere a condizione che nel nucleo famigliare non vi sia un altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito e che la modalità di lavoro agile sia compatibile con le caratteristiche della prestazione da rendere.
Viene prorogato il lavoro agile (in scadenza il 30 marzo) fino al 30 giugno per i lavoratori del pubblico e del privato “fragili”, cioè affetti da una delle patologie gravi indicate dal ministero della Salute nel decreto del 4 febbraio 2022, contro il rischio al quale possono essere esposti. I lavoratori hanno diritto al lavoro da remoto per tutte le ore in cui devono essere impiegati; nel caso di incompatibilità della mansione con il lavoro in smart, il dipendente può essere assegnato a un’altra mansione nella stessa categoria purché lo stipendio resti lo stesso.
Il decreto reintroduce lo smart working per i genitori con figli under 14 fino al 30 giugno, ma solamente per chi lavora nel settore privato. Per i dipendenti pubblici non ci sarà questa possibilità. Nel privato si scontrano due correnti di pensiero: <<Se nell’organizzazione aziendale non è previsto il lavoro agile, il genitore di figlio minore di 14 anni ne avrà comunque diritto – spiega Arturo Maresca, professore dell’Università La Sapienza di Roma – se, invece, l’azienda già prevede tale modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, il genitore ne avrà diritto secondo la disciplina già stabilita dall’imprenditore, quindi con alternanza giorni di presenza/da remoto e la collocazione temporale della prestazione valevole anche per tutti gli altri dipendenti>>. Questa interpretazione è stata messa in discussione da molti giuslavoristi che sostengono che la norma, proprio per la mancanza di limitazioni espresse, garantirebbe un diritto assoluto a lavorare sempre al di fuori dei locali aziendali, quindi da remoto.
In assenza di un’interpretazione univoca del legislatore attraverso una circolare del ministero del Lavoro, di fatto resta incertezza sul tema.
(V.M)