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Home Deontologia dei giornalisti

COSA SUCCEDEREBBE SE NON CI FOSSE UN ORDINE DEI GIORNALISTI?

L’Ordine dei giornalisti garantisce libertà ai cittadini che ricevono notizie scritte da persone che hanno una competenza professionale. Nonostante questo, negli anni passati ci furono dei tentativi di abolizione dell’Ordine. La legge n.69 del 1963 appare per certi versi obsoleta e non al passo con i tempi. È doveroso chiedersi se i presupposti del suo esistere possano essere effettivamente ritenuti ancora validi

by Redazione
3 Febbraio 2023
in Deontologia dei giornalisti, Ordini professionali
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COSA SUCCEDEREBBE SE NON CI FOSSE UN ORDINE DEI GIORNALISTI?
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L’Ordine dei giornalisti è stato istituito attraverso leggi promulgate sessant’anni fa in momenti storici diversi da quello attuale.

Il Consiglio nazionale e i consigli regionali o interregionali dell’Ordine dei giornalisti sono stati istituiti dalla legge n.69/63 che gli ha conferito loro il potere disciplinare e sanzionatorio per vigilare sulla condotta e sull’operato degli iscritti all’Ordine.

Sono molti coloro che sostengono che l’esistenza di un Ordine dei giornalisti non presuppone automaticamente che vi sia trasparenza nell’informazione o che vengano rispettati gli interessi del lettore-consumatore a cui va riconosciuta, invece, la capacità di giudicare da un punto di vista etico l’operato di un giornalista e il diritto di non acquistare o seguire più una determinata testata.

Queste idee hanno portato il 15 giugno del 1997 a indire un referendum per l’abrogazione della legge n.69/63. Già nel 1974 i radicali avevano provato a portare avanti questo piano di abolizione dell’Ordine dei giornalisti, ma non raccolsero nemmeno le firme necessarie per indire la consultazione. Nel 1997, invece, mancò il quorum. Secondo i promotori di questo referendum l’Ordine dei giornalisti era un Ordine tipico di una corporazione chiusa. Bisognava, invece, consentire a tutti di poter scrivere sui giornali o lavorare nelle radio e nelle tv senza superare l’esame di stato e senza iscriversi all’ordine. L’obiettivo del referendum era creare una situazione di impronta anglosassone, molto liberale, con un esercizio della professione sganciato dall’appartenenza ad un Ordine professionale. Al referendum del 1997 andarono a votare circa il 30% degli aventi diritto. Quindi la consultazione referendaria fu dichiarata nulla, come se non si fosse mai svolta. Di quel 30%, il 65% si espresse in favore della abrogazione della legge dell’Ordine dei giornalisti.

Anche dopo il ‘97 è ritornato il tema dell’abolizione dell’Ordine dei giornalisti.

Nei giornali ci sono tanti condizionamenti, come il potere editoriale impuro, ossia editori che usano i mezzi di informazione per i loro interessi e gli interessi della proprietà, quindi non sono così liberi di selezionare le notizie.

Una situazione di deregulation come quella voluta dai referendari potrebbe essere anche pericolosa per il mondo del giornalismo.

I giornalisti in questo momento grazie alla legge professionale hanno uno scudo protettivo, la deontologia giornalistica che gli consente di invocare una maggiore libertà. Quando esercita la sua professione il giornalista deve applicare i principi della deontologia, prima ancora di fare quello che gli chiede il suo editore. Il giornalista ha come primo dovere quello di raccontare la verità dei fatti in modo neutrale ai cittadini. Se questo scudo fosse abrogato, i giornalisti non avrebbero più una loro deontologia, ma avrebbero lo stesso regime giuridico di tutti gli altri lavoratori (sancito negli articoli 2104 e 2105 del Codice civile che prevedono l’obbligo di diligenza, di fedeltà del lavoratore al datore di lavoro). Questo principio che regola l’organizzazione del lavoro in tutti i settori, se venisse applicato al giornalismo non garantirebbe più la libertà di informazione perchè gli editori potrebbero imporre ai giornalisti il contenuto degli articoli. Quando è in gioco un bene pubblico, come il diritto dei cittadini di ricevere informazioni corrette, chi garantisce questo bene deve essere libero altrimenti non è pulito nemmeno il prodotto finale, ovvero la notizia. Quindi abolire l’Ordine dei di giornalisti e cancellare la legge professionale che lo prevede può sembrare una cosa più positiva perchè dà più libertà a chi vuole fare il giornalista, ma poi creerebbe un potere enorme nelle mani degli editori che in quanto datori di lavoro potrebbero applicare gli articoli 2104 e 2015 del Codice civile anche ai giornalisti, imponendo loro cosa scrivere.

Il giornalista ha un altro elemento che lo distingue da altre professioni: il segreto professionale sulle fonti. Ci sono delle leggi che garantiscono la tutela delle fonti giornalistiche, senza le quali non avremmo notizie su fatti che ci riguardano ma che ci vengono tenute nascoste. Quindi il giornalista deve avere anche l’abilità di procurarsi notizie riservate, fare degli scoop e delle inchieste per arricchire il nostro diritto all’informazione. La legge professionale n. 69/63 garantisce questo diritto del giornalista di non rivelare le fonti, di tenere segreti i nomi dei suoi informatori.

Se fosse cancellata la legge professionale il giornalista sarebbe obbligato a rivelare le fonti.

Inoltre, la legge professionale prevede anche l’obbligo di aggiornamento professionale. Gli ordini regionali promuovono ogni mese un certo numero di corsi affinchè tutti i giornalisti possano accumulare quei crediti professionali che gli consentono di rimanere iscritti all’Ordine.

Dunque, il vero problema non è tanto nella sopravvivenza dell’Ordine quanto nelle regole per l’accesso alla professione, per il rispetto della deontologia e per le misure di tutela della professione, troppo spesso soggetta ad attacchi che tendono a minare l’autonomia dei giornalisti.

 

Tags: 60 anniabrogativoodgreferendum

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