È l’allarme lanciato dallo Stanford Internet Observatory, che ha condotto un’analisi: stima, ad esempio, che oltre il 95% dei tweet con il termine di ricerca “Pechino” provenga da account spam che diffondono informazioni di questo tipo. Messaggi che superano di gran lunga qualsiasi tweet sulle proteste.
Il governo cinese ha sempre messo in atto politiche di censura ai media ma anche su Internet e il fenomeno non appare per nulla casuale. Lo spam sembrerebbe quindi direttamente collegato al governo e sempre più spesso i manifestanti si stanno affidando a VPN per poter accedere a servizi di comune utilizzo da noi, ad esempio Telegram, per unire gli sforzi e coordinarsi nelle proteste.
Un ex dipendente di Twitter ha dichiarato che questo tipo di problema viene risolto attraverso un intervento manuale, oltre che tramite sistemi automatizzati. Tuttavia, il team di moderazione che si occupava della questione cinese non esiste più (i membri sono stati licenziati o hanno lasciato l’azienda).