Gli obblighi di protezione dei diritti degli utenti di Internet e di trattamento non discriminatorio del traffico ostano a che un fornitore di accesso a Internet privilegi talune applicazioni e taluni servizi, mediante pacchetti che consentono a tali applicazioni e servizi di beneficiare di una «tariffa zero» e che assoggettano l’utilizzo delle altre applicazioni e degli altri servizi a misure di blocco o di rallentamento.
La società Telenor, con sede in Ungheria, fornisce, in particolare, servizi di accesso a Internet. Tra i servizi proposti ai suoi clienti figurano due pacchetti di accesso preferenziale (cosiddetti a «tariffa zero») la cui particolarità consiste nel fatto che il traffico di dati generato da taluni servizi e applicazioni specifici non è computato nel consumo del volume di dati acquistato dai clienti. Inoltre, questi ultimi possono, una volta esaurito detto volume di dati, continuare a utilizzare senza restrizioni tali applicazioni e tali servizi specifici, mentre alle altre applicazioni e agli altri servizi disponibili sono applicate misure di blocco o di rallentamento del traffico.
Dopo aver avviato due procedimenti volti a controllare la conformità di tali due pacchetti con il regolamento 2015/2120 che stabilisce misure riguardanti l’accesso a un’Internet aperta, l’Ufficio nazionale dei media e delle comunicazioni ungherese ha adottato due decisioni con le quali ha dichiarato che essi non rispettavano l’obbligo generale di trattamento equo e non discriminatorio del traffico di cui all’articolo 3, paragrafo 3, di tale regolamento e che la Telenor doveva porvi fine.
Adita con due ricorsi proposti da quest’ultima, la Fővárosi Törvényszék (Corte di BudapestCapitale, Ungheria) ha deciso di interpellare la Corte in via pregiudiziale al fine di sapere come debba essere interpretato e applicato l’articolo 3, paragrafi 1 e 2, del regolamento 2015/2120, che garantisce un certo numero di diritti agli utenti finali di servizi di accesso a Internet e che vieta ai fornitori di detti servizi di adottare accordi o pratiche commerciali che limitino l’esercizio di tali diritti, nonché l’articolo 3, paragrafo 3, che sancisce un obbligo generale di trattamento equo e non discriminatorio del traffico.
Nella sua sentenza del 15 settembre 2020, la Corte, in Grande Sezione, ha interpretato per la prima volta il regolamento 2015/2120, che sancisce il principio essenziale dell’apertura di Internet (colloquialmente detto «neutralità della rete»).
Per quanto riguarda, in primo luogo, l’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento 2015/2120, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 1, di detto regolamento, la Corte ha osservato che la seconda di tali disposizioni prevede che i diritti da essa garantiti agli utenti finali di servizi di accesso a Internet sono destinati ad essere esercitati «tramite il servizio di accesso a Internet», e che la prima disposizione esige che tale servizio non implichi limitazioni all’esercizio di detti diritti. Inoltre, dall’articolo 3, paragrafo 2, del suddetto regolamento risulta che i servizi di un determinato fornitore di accesso a Internet devono essere valutati alla luce di detto requisito, da parte delle autorità nazionali di regolamentazione e sotto il controllo dei giudici nazionali competenti, prendendo in considerazione sia gli accordi conclusi da tale fornitore con gli utenti finali che le pratiche commerciali adottate da detto fornitore.
In tale contesto, la Corte, dopo aver fornito un insieme di precisazioni generali sul significato delle nozioni di «accordi», di «pratiche commerciali» e di «utilizzatori finali» contenute nel regolamento 2015/2120, ha rilevato che la conclusione di accordi mediante i quali determinati clienti sottoscrivono pacchetti che combinano una «tariffa zero» con misure di blocco o di rallentamento del traffico connesso all’utilizzo di servizi e di applicazioni diverse dai servizi e dalle applicazioni specifici soggetti a tale «tariffa zero» è idonea a limitare l’esercizio dei diritti degli utenti finali, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, di tale regolamento, su una parte significativa del mercato. Infatti, siffatti pacchetti sono tali da incrementare l’utilizzo delle applicazioni e dei servizi privilegiati e, correlativamente, tali da rarefare l’utilizzo delle altre applicazioni e degli altri servizi disponibili, tenuto conto delle misure mediante le quali il fornitore di servizi di accesso a Internet rende
quest’ultimo utilizzo tecnicamente più difficoltoso, se non impossibile. Inoltre, quanto più il numero di clienti che concludono siffatti accordi è rilevante, tanto più l’impatto cumulativo di tali accordi può, tenuto conto della sua portata, comportare una notevole limitazione all’esercizio dei diritti degli utenti finali, o addirittura compromettere l’essenza stessa di tali diritti.
In secondo luogo, per quanto riguarda l’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento 2015/2120, la Corte ha rilevato che, per constatare un’incompatibilità con tale disposizione, non è richiesta alcuna valutazione dell’impatto di tali misure di blocco o di rallentamento del traffico sull’esercizio dei diritti degli utenti finali. Infatti, tale disposizione non prevede un simile requisito per valutare il rispetto dell’obbligo generale di trattamento equo e non discriminatorio del traffico ivi contenuto. Inoltre, la Corte ha dichiarato che quando misure di rallentamento o di blocco del traffico sono basate non su requisiti di qualità tecnica del servizio obiettivamente diversi di specifiche categorie di traffico, ma su considerazioni di ordine commerciale, tali misure devono ritenersi, in quanto tali, incompatibili con la suddetta disposizione.
Pertanto, pacchetti come quelli sottoposti al controllo del giudice del rinvio sono, in via generale, tali da violare sia l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento 2015/2120, che il l’articolo 3, paragrafo 3, fermo restando che le autorità e i giudici nazionali competenti possono direttamente esaminarli alla luce della seconda di tali disposizioni.
Il comunicato stampa è disponibile al link: https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2020-09/cp200106it.pdf
Il testo integrale della sentenza èdisponibile al link: http://curia.europa.eu/juris/documents.jsf?num=C-807/18