I giudici della Consulta hanno stabilito che, quando la nostra Costituzione parla di “corrispondenza” a proposito della sua inviolabilità e delle speciali garanzie spettanti alla corrispondenza spedita o diretta a Parlamentari, si riferisce anche alla corrispondenza elettronica, inclusi i messaggi WhatsApp.
Posta elettronica e messaggi inviati tramite l’applicazione WhatsApp (appartenente ai sistemi di cosiddetta messaggistica istantanea) rientrano, dunque, a pieno titolo, nella sfera di protezione dell’art. 15 Cost., apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi.
La riservatezza della comunicazione, che nella tradizionale corrispondenza epistolare è garantita dall’inserimento del plico cartaceo o del biglietto in una busta chiusa, è qui assicurata dal fatto che la posta elettronica viene inviata a una specifica casella di posta, accessibile solo al destinatario tramite procedure che prevedono l’utilizzo di codici personali; mentre il messaggio WhatsApp, spedito tramite tecniche che assicurano la riservatezza, è accessibile solo al soggetto che abbia la disponibilità del dispositivo elettronico di destinazione, normalmente protetto anch’esso da codici di accesso o altri meccanismi di identificazione.
Pertanto, nelle controversie Tributarie, la Guardia di Finanza o l’Agenzia delle Entrate non possono utilizzare messaggi WhatsApp o e-mail, prelevati dagli smartphone o dai computer dei contribuenti, se non sono stati autorizzati da specifico e motivato provvedimento del Procuratore della Repubblica.
Non hanno dubbi i Giudici della Corte, anche perché, come chiariscono, “sostenere il contrario, in un momento storico nel quale la corrispondenza cartacea, trasmessa tramite il servizio postale e telegrafico, è ormai relegata, nel complesso, a un ruolo di secondo piano, significherebbe d’altronde deprimere radicalmente la valenza della prerogativa parlamentare in questione”.
Tale sentenza della Corte Costituzionale riguarda una vicenda penale del Senatore della Repubblica Matteo Renzi, che si era visto intercettare messaggi WhatsApp ed e-mail dal P.M. della competente Procura della Repubblica. Nello specifico veniva sollevata alla Consulta la violazione dell’art. 15 e dell’art. 68 della Costituzione, da parte della Segreteria del Senato della Repubblica.
Quest’ultima decisione della Corte Costituzionale, se da una parte può e deve confortarci sull’elasticità e malleabilità della nostra Costituzione capace di sopravvivere a rivoluzioni tecnologiche che i costituenti non avrebbero potuto neppure immaginare, dall’altra dovrebbe indurci a chiederci se e cosa si può cambiare nel nostro modo di scrivere le leggi e di applicarle per fare in modo che, in futuro, non serva la Corte Costituzionale per dire che un messaggio di corrispondenza elettronica è un messaggio di corrispondenza e resta tale anche dopo essere stato ricevuto e letto. Perché è evidente che non possiamo permetterci di ricorrere alla Corte Costituzionale per ciascuna delle migliaia di questioni sulle quali ci stiamo già confrontando e che ci troveremo ad affrontare nel futuro.