Il processo di digitalizzazione ha portato al rumoroso ingresso dell’algoritmo nelle scuole e nelle università: senza dubbio, il ruolo di questo nell’apprendimento sta conoscendo una tendenza crescente.
Ma gli algoritmi sono propedeutici alla formazione o un’arma a doppio taglio? Per trovare risposta a una questione così tanto controversa, è necessario affrontare due aspetti. Da un lato, l’innovazione costante e gli strumenti all’avanguardia garantiscono un’educazione personalizzata e flessibile; dall’altro lato, sorgono dubbi circa l’etica e la governance di questi fenomeni.
Il punto cruciale consiste nel comprendere come venga indirizzato l’insegnamento. Chi decide cosa impariamo? La diffusione capillare e l’uso generalizzato di algoritmi nell’istruzione sono realtà già funzionanti. Tuttavia, sorgono problematiche relative ai bias algoritmici: il rischio diventa quello di trasformare il processo di apprendimento in un sistema unilaterale e chiuso, governato da logiche statistiche.
Dunque, si introduce la questione della governance algoritmica della scuola e dell’università. A tal proposito, l’AI Act rappresenta il tentativo dell’Unione Europea di regolamentare l’uso dell’Intelligenza Artificiale. A partire da ciò, è necessario introdurre meccanismi di accountability chiari per comprendere consapevolmente da quali dati il sistema attinga.
Inoltre, è fondamentale curare la trasparenza degli algoritmi: questi devono essere definiti, precisi ed esplicabili. Gli studenti e i docenti devono poter comprendere come vengano prese le decisioni sui percorsi di apprendimento, quali siano i margini di errore e di intervento umano, come sono gestite le eccezioni. Il tutto è sviluppabile solo con l’implementazione di un modello di AI explainability: un sistema che, chiarendo i passaggi che portano a un determinato risultato, rende interpretabili i processi decisionali dell’algoritmo.
Indubbiamente l’ingresso di massa degli algoritmi nelle scuole e nelle università è un’arma a doppio taglio, i cui effetti possono essere distruttivi. La tecnologia non è mai neutrale e, se utilizzata senza spirito critico, rischia di accentuare disuguaglianze già presenti.
L.V.

















