Gran parte della abituale attività quotidiana di informazione e comunicazione si basa sull’utilizzo delle innovative tecnologie informatiche e digitali. La conseguenza di tutto ciò è che si lasciano, soprattutto sulle piattaforme messaggistiche, una quantità di riscontri digitali, tanto che le prove fatte valere nei tribunali sono sempre più spesso di tipo elettronico.
Questo accade in particolare nell’ambito dei processi penali, dove nessuno più nega la crescente importanza e il valore probatorio della cosiddetta “prova elettronica”, definita anche con la locuzione “prova digitale”.
Il riconosciuto valore probatorio dei messaggi nel processo penale è un argomento di notevole rilievo e interesse giuridico. Come ribadito più volte dalla Cassazione, i messaggi WhatsApp, sono prove documentali ai sensi dell’articolo 234 del Codice di procedura penale e come tali utilizzabili in giudizio.
Il suddetto articolo infatti prevede che “è consentita l’acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”.
Per quanto riguarda le chat nel processo civile, l’articolo 2712 del Codice civile dispone che “Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”. Ed ancora l’articolo 2719 sancisce: “Le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta”.
Tuttavia, c’è da notare che nel processo civile vige il principio di “tipicità della prova” e che il Codice di procedura civile non è mai stato aggiornato con l’inserimento dei nuovi strumenti tecnologici tra i mezzi di prova. Per questo motivo il contenuto delle chat, equiparato a mera “riproduzione meccanica”, si può considerare una prova documentale solo se non contestato dall’avversario. Per evitare che il ricorso a tale stratagemma renda inutilizzabile qualsiasi documento informatico e telematico, la giurisprudenza più recente ha stabilito che non basta solo opporsi ma bisogna anche chiarire le ragioni per cui il documento sarebbe inattendibile. La contestazione dell’avversario deve essere “credibile” e non basata una semplice affermazione di principio.
In altri termini, per affermare che il documento prodotto in giudizio non è valido, non basta sollevare l’eccezione ma bisogna anche renderla credibile con elementi oggettivi o con indizi. In questo modo è stata aperta una porta attraverso cui documenti informatici e stampe di chat, come le e-mail tradizionali, hanno acquistato rilevanza.
Ne consegue che, anche nel giudizio civile, la copia cartacea o digitale di un documento informatico costituisce una “riproduzione meccanica” con valore probatorio, salvo contestazione motivata della controparte.