Visto l’attuale incremento esponenziale del traffico dati in Rete, in molti ricordano che quello delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict) è un settore ad alto tasso di inquinamento per le elevate emissioni di carbonio che produce. Secondo uno studio della multinazionale Ericsson, le emissioni di carbonio sono ferme all’1,4% dal 2010, nonostante il traffico dati sia aumentato di 10 volte (dati precedenti all’impennata di traffico per il Covid-19), e che potrebbe verificarsi un abbattimento delle emissioni fino all’80% grazie all’uso di fonti rinnovabili e tecnologie “verdi”. Gli esperti prevedono che il 5G consentirà a industrie, città e Paesi di abbattere le emissioni di Co2.
Il report spiega che i tassi di impronta di carbonio non vanno valutati in base a dati che considerano solo il consumo di energia di un prodotto digitale anzichè il suo intero ciclo di vita. Bisogna tenere conto di tre livelli nella misurazione dell’impatto climatico del settore: emissioni dirette di carbonio generate dalla produzione, dall’uso e dallo smaltimento dei prodotti; effetti indiretti, positivi o negativi, sulle emissioni derivanti dall’utilizzo della tecnologia (ad esempio, sostituire un viaggio di lavoro con una conference call); impatto su comportamenti e preferenze da parte degli utenti.
Nel 2015, l’impronta ecologica del ciclo di vita totale del comparto è stata pari a circa 730 milioni di tonnellate di Co2, mentre quella prodotta dalla combustione di carburante nell’aeronautica è stata di circa 800 milioni di tonnellate. L’Ict potrebbe erroneamente essere paragonato all’aviazione, ma solo per il consumo di carburante, senza tener conto delle emissioni generate da fabbricazione di aerei, funzionamento degli aeroporti, ecc. Peraltro si stima che prodotti e soluzioni digitali siano utilizzati dal 70% della popolazione contro il 10% che si sposta in aereo ogni anno.