Una delle novità più rilevanti nel DMA è il diverso ed innovativo approccio nella definizione dei soggetti verso cui sono dirette le regole in esso previste.
La tradizionale disciplina antitrust, infatti, prevede l’applicazione di una serie di misure nei confronti dei soggetti che si trovano in una situazione dominante in un determinato mercato o che tramite intese restrittive della concorrenza ne falsano la contendibilità. La fattispecie tipica è quella di “abuso di posizione dominante” la quale, però, richiede un accertamento in concreto sia del mercato in cui si verifica l’abuso sia della dominanza sullo stesso del soggetto che pone in essere la condotta anticoncorrenziale.
Il DMA, affiancandosi a tale tradizionale approccio, introduce un diverso meccanismo: individua dei servizi di “piattaforma di base” (motori di ricerca, social network, sistemi operativi, assistenti virtuali ecc) e, sulla base di alcuni elementi qualitativi e quantitativi, presume che determinati soggetti che soddisfano tali elementi ricoprono la qualifica di “gatekeeper” (ossia “guardiani del cancello” nel senso di potere impedire o falsare l’ingresso a nuovi attori su quel mercato).
In conseguenza della designazione come gatekeeper scattano per il soggetto designato una serie di obblighi e divieti a cui deve adeguarsi entro il termine di sei mesi. Questo è il punto centrale della regolamentazione, volto ad evitare condotte anticoncorrenziali ed a consentire l’accesso al mercato su cui opera la piattaforma di base gestita dal gatekeeper anche da parte delle altre imprese fornitrici di servizi analoghi o che si avvalgono della piattaforma di base per svolgere la propria attività commerciale.
Cosa accadrà a chi dovesse disattendere le norme imposte dal DMA? La Commissione ha annunciato ammende fino al 10% del fatturato mondiale totale annuo dell’impresa, che potrebbero arrivare al 20% in caso di violazioni ripetute. Penalità di mora fino al 5% del fatturato medio giornaliero. E in caso di violazioni ripetute, alle piattaforme potranno essere imposte ulteriori misure, proporzionate al reato commesso, anche di carattere non finanziario, come l’obbligo di vendere un’attività o parti di essa.
La “storica” riforma del DMA si affianca al provvedimento gemello del Digital Service Act, che mira in sostanza ad affermare il principio secondo cui ciò che è illegale offline lo deve essere anche online.