Il tema della diffamazione sui social network è particolarmente spinoso: entrano in gioco fattori come la mancanza di controlli rigorosi sui contenuti che si decide di pubblicare, la difficoltà di risalire alla fonte originaria dell’informazione e di verificarne la veridicità e la validità, e numerosi altri fattori; si pone anche il problema del rapporto tra i contenuti pubblicati sulla versione online e social dei media tradizionali (come le testate giornalistiche o televisive), scritti da professionisti che sono tenuti al rispetto di determinate norme deontologiche, e i contenuti e le informazioni pubblicati dai liberi cittadini. Proprio per queste questioni così delicate non c’è ancora, a livello globale, accordo su come disciplinare tale tematica.
Di recente, ha fatto molto discutere una sentenza della High Court Australiana, che ha stabilito che le testate giornalistiche sono responsabili dei commenti pubblicati dagli utenti agli articoli che condividono su Facebook e altri social. Con 5 voti a favore e 2 contrari, la Corte ha infatti stabilito che le testate giornalistiche, che siano giornali o notiziari televisivi, sono editori degli eventuali commenti diffamatori postati da terze parti sulle loro pagine Facebook ufficiali.
La vicenda giudiziaria che ha portato alla sentenza risale al 2016, quando alcune testate australiane avevano pubblicato una foto di Dylan Voller, all’epoca detenuto in carcere minorile, incappucciato e legato a una sedia.
Una volta scarcerato, Voller aveva denunciato i principali media australiani (Sydney Morning Heral, The Australian, Centralian Advocate, Sky News Australia e The Bolt Report), per i commenti diffamatori nei suoi confronti scritti dagli utenti dei social sotto alla sua foto. In prima istanza il tribunale aveva dato ragione a Voller; i giornali avevano fatto ricorso, asserendo che chiunque per poter essere considerato editore dei contenuti deve essere consapevole del contenuto diffamatorio di essi e avere la volontà di diffonderlo; ma neanche il tribunale di appello aveva ribaltato la sentenza. Con l’intervento della Corte Suprema la decisione è definitiva: la motivazione è che i giornali hanno facilitato la pubblicazione dei commenti, e quindi sono responsabili.
News Corp Australia, uno dei gruppi media interessati dalla causa per diffamazione di Voller, ha commentato la sentenza chiedendo una “urgente riforma legislativa” per sanare una “anomalia” e “portare l’Australia in linea con le democrazie occidentali”.
La questione rimane aperta: chi deve assumersi il ruolo di “controllore” sui contenuti online generati dagli utenti? La responsabilità dei commenti sotto a un post sui social ricade su chi l’ha pubblicata solo nel caso delle testate giornalistiche o in qualsiasi caso? Ogni utente dei social è legalmente perseguibile per ogni commento scritto da altri sotto ai propri post? Come si delimita un confine?
Materia di riflessione per giuristi, giornalisti, e Governi- ma anche per gli utenti del web.
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