L’atteggiamento di certo giornalismo di fronte alle incoerenze della politica appare a dir poco dimesso e reticente. Le dichiarazioni e i comportamenti di chi sta al governo sono lo specchio di ipocrisie e opportunismi che il giornalismo fatica a denunciare. E’ peraltro un film già visto. Vent’anni fa la Lega attaccava Silvio Berlusconi dandogli perfino del “mafioso”, ma poi è andata a braccetto con lui sia al centro che sui territori. E i giornalisti vicini al Cavaliere hanno come per incanto cambiato atteggiamento verso Umberto Bossi, leader della Lega dell’epoca, e i suoi sodali. Ora grillini e dem stanno offrendo un altro spettacolo indecoroso. Nel marzo 2013 i pentastellati si permisero di deridere via streaming il tentativo di Pierluigi Bersani di dar vita a un governo di coalizione come quello che c’è oggi, identificando nei dem un blocco di potere conservatore. Oggi Beppe Grillo addirittura corteggia i dem per un contratto di governo, ben sapendo che da urne anticipate il suo movimento uscirebbe con le ossa rotte. E’ dunque scomparso come per incanto dai discorsi di Luigi Di Maio e degli altri esponenti grillini “il partito di Bibbiano” o “il partito dei poteri forti”. Ma nessun giornalista nei giorni scorsi ha evidenziato tale contraddizione.
E che dire di Nicola Zingaretti e i suoi, che definivano Lega e Cinque Stelle due facce della stessa medaglia, quella sovranista ed escludevano qualsiasi governo con i grillini? Ora addirittura enfatizzano le convergenze ideali Pd-Cinque Stelle e invocano un’alleanza organica, sia per rimanere al governo nazionale che per salvare le poltrone nelle regioni chiamate al voto.
Un giornalismo politico neutrale ed equilibrato dovrebbe evidenziare tali stranezze, anziché chiudere entrambi gli occhi e fare da megafono acritico di finti sorrisi e strumentali ammiccamenti.