Quest’anno, nei primi tre mesi, si contano ben 22 vittime di femminicidio e sono episodi che si verificano principalmente tra le mura domestiche. Tuttavia, le forme di violenza più comuni si compiono tramite le parole, che online circolano velocemente anche a causa dell’anonimato.
Due anni fa l’ONU sottolineava la necessità di sensibilizzare sulle nuove forme di violenza di genere. Infatti, la violenza contro le donne è uno dei temi più scottanti in rete perché è soggetta alle stesse cause e fattori che determinano le sue forme nel quotidiano. Basta pensare alla sistematica diseguaglianza strutturale di genere, agli aspetti culturali e alla molteplicità di stereotipi. È dunque necessario l’utilizzo degli opportuni dati per monitorare l’andamento di questa problematica.
A tal proposito, l’Istat ha ideato una statistica sperimentale basata sull’analisi delle reazioni ai contenuti social. La prospettiva della ricerca individua gli argomenti che generano le discussioni più accese fra gli utenti come: il body-shaming, il femminicidio e lo stupro. Così, si è consapevoli della portata del fenomeno e se i social sono in grado di limitarlo, oppure se fomentano odio e violenza.
La community, riguardo al tema della violenza sulle donne, mostra principalmente indignazione ma non mancano le espressioni di disprezzo. Ci si indigna sui fatti di cronaca catastrofici o quando si colpevolizza una donna per aver provocato il suo assassino, però spesso i social potenziano gli atti di vittimizzazione che favoriscono la circolazione degli insulti.
Un dato rassicurante è fornito dalla crescita delle telefonate al 1522, numero dedicato alle denunce di abusi o stalking, da parte di testimoni di questi casi orribili. In un’altra indagine, l’Istat ha notato la tendenza a sminuire uno schiaffo durante un litigio oppure il controllo ossessionato del telefono (soprattutto tra le coppie giovani).
La strada è ancora lunga ma, grazie allo sviluppo tecnologico, siamo in grado di arginare i contenuti dannosi.
M.P.