Abbiamo deciso di promuovere un confronto tra tutti i Presidenti degli Ordini regionali dei Giornalisti attraverso interviste individuali su alcuni temi centrali per il futuro del mondo dell’informazione e della professione giornalistica.
Oggi pubblichiamo l’intervista del Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, Riccardo Sorrentino.
1. In che modo l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia incoraggia e sostiene l’adozione del data journalism tra i suoi membri, considerando il ruolo sempre più rilevante dei dati nella creazione e nell’analisi delle notizie?
Il data journalism è, per noi, un elemento fondamentale del “giornalismo di precisione”, concetto centrale della nostra offerta formativa. Pensiamo che il giornalismo di qualità, di cui parliamo tanto, debba trovare concretezza, e la cultura dei dati è uno degli elementi fondamentali di questo lavoro. Non vogliamo solo sostenere e diffondere il data journalism come genere in sé: crediamo che l’analisi dei dati possa arricchire le competenze dei giornalisti nella fase di raccolta e di verifica delle informazioni, sia quando si occupino di approfondimenti, sia quando fanno inchieste. La formazione, in questo senso, è molto importante: abbiamo dedicato ai dati e alla loro analisi molti corsi, spesso con partner specializzati come l’Istat, Cefriel, il centro di innovazione digitale fondato dal Politecnico di Milano, e la cooperativa di giornalisti PrimoPiano. Altre iniziative sono in preparazione per il 2024.
2. Considerando l’importanza dell’accuratezza dell’informazione, come l’Ordine sostiene i giornalisti della Lombardia nell’affrontare la pressione di pubblicare notizie rapidamente senza compromettere la precisione e la veridicità delle informazioni?
La rapidità nella ricerca e nella pubblicazione delle notizie è da sempre una caratteristica del giornalismo, non ben compresa dal grande pubblico e dai nostri interlocutori, che non si rendono conto delle difficoltà che affrontiamo ogni giorno. Pensiamo alle agenzie di stampa e agli sforzi che da sempre profondono per mantenere la credibilità. Noi crediamo che la formazione continua possa dare strumenti preziosi ai giornalisti perché possano subito inquadrare le notizie e pubblicarle nel modo più corretto, più vero. La cronaca nera, la cronaca giudiziaria hanno per esempio assunto un ruolo paradigmatico: raccontare attività che richiedono competenze a volte elevate, come le indagini o le procedure giudiziarie, impone al giornalista, sempre più, non solo la capacità di individuare le notizie, che resta il cuore del nostro lavoro, ma anche la capacità di “tradurre culturalmente”, per esempio, le tecnicalità di un processo penale a favore di un pubblico che non le conosce e che è chiamato a capirle.
3. In che modo l’impiego di algoritmi o strumenti basati sull’Intelligenza Artificiale può aiutare i giornalisti nell’analisi e nella verifica delle fonti, contribuendo a mantenere l’accuratezza delle informazioni pubblicate?
Parto da un’esperienza personale: quasi mai ChatGPT, al quale mi sono avvicinato con sana curiosità, ha dato risposte corrette alle mie domande. Ho visto confermata un’idea che ho elaborato seguendo corsi di elaborazione dei dati anche attraverso reti neurali: non c’è nulla di intelligente nell’Intelligenza Artificiale. Sono strumenti che, una volta che saranno adattati al lavoro concreto della redazione, potranno farci risparmiare tempo, ma richiedono verifiche dei contenuti anche più attente rispetto al passato. Quanto è accaduto al Brainerd Dispatch, nel Minnesota, sia di esempio per tutti: l’adozione dell’Intelligenza Artificiale non ha dato i risultati sperati in termini di “automazione”, ma ha comunque permesso a ciascun giornalista di risparmiare circa tre ore di lavoro al giorno, che sono state usate alla ricerca delle notizie “per strada”, come si faceva un tempo. Gli editori che sperano di sostituire i giornalisti con le macchine si illudono, anche se tragicamente ci saranno licenziamenti e ristrutturazioni nella ricerca del consueto “sacro Graal”: qualità a costo zero. La vera rivoluzione sta nel fatto che occorrono giornalisti molto preparati: la verifica delle informazioni si arricchirà di dimensioni nuove.
4. Quali sono gli obiettivi principali della nuova commissione consultiva sul Giornalismo d’inchiesta e come si prevede che contribuirà a promuovere la qualità e l’etica nel giornalismo investigativo nella regione della Lombardia?
Il Gruppo di lavoro sul giornalismo di inchiesta, che sta “fertilizzando” anche le altre commissioni, è il riconoscimento del fatto che è nato un nuovo genere di giornalismo: molti gruppi di giornalisti e non giornalisti, non solo in Italia, lavorano in team, in squadra; su “ipotesi investigative”, che a volte vengono smentite o aprono scenari molto diversi da quelli immaginati, e non su tesi precostituite; su tempi lunghi, finanziandosi attraverso grant internazionali (l’Italia è qui la grande assente); valutando anche l’impatto delle loro inchieste, che non si limitano a un singolo articolo. Non solo: questi giornalisti, relativamente giovani, vogliono anche condividere i loro metodi di lavoro, fare scuola, come si faceva un tempo nelle redazioni, senza chiudersi in una gelosa protezione dei propri “segreti professionali”. L’Ordine vuole accompagnare e sostenere queste ambizioni organizzando corsi e laboratori, predisponendo strumenti e “cassette degli attrezzi”, cercando – nei limiti delle risorse disponibili – di predisporre nuovi servizi, per esempio legali e assicurativi, per questi colleghi che non posso far leva su aziende editoriali. È un lavoro, questo, che è solo agli inizi, ma già promette di andare al di là del giornalismo d’inchiesta.