Tra gli strumenti che il fisco utilizza per i suoi accertamenti su cittadini e imprese ci sono anche le tracce che si lasciano in Rete. Pochi giorni fa la Cassazione, nella sentenza n. 308/2020, ha stabilito la legittimità di un accertamento basato sulle foto di Google Street View, applicazione che consente di navigare virtualmente tra le vie delle città. Un Comune abruzzese ha utilizzato le foto di quel servizio per dimostrare la presenza di un cartellone pubblicitario su un automezzo, ai fini della riscossione dell’imposta sulla pubblicità, non versata per quattro anni. La Cassazione ha respinto le obiezioni del contribuente, che contestava l’utilizzabilità delle foto. Il principio sancito dai giudici di legittimità sembra estensibile ad altre tipologie di accertamenti fiscali, riguardanti diversi settori impositivi.
Sia l’Agenzia delle Entrate che la Guardia di Finanza hanno peraltro ammesso il ricorso a “fonti aperte” come siti web e social network, fin dal 2016, per acquisire ad esempio informazioni sulle caratteristiche degli immobili compravenduti e sulla zona in cui si trovano, oltre che per effettuare accertamenti catastali e di valore, ai fini dell’imposta di registro nelle compravendite immobiliari. Già nel 2007 il Fisco aveva incastrato una società di rimessaggio di barche grazie a Google Earth: le immagini aeree scattate a distanza di tempo mostravano un numero di clienti ben superiore a quello su cui erano state pagate le imposte.
Inoltre, diverse sentenze legittimano l’uso di informazioni raccolte sui social nelle cause di divorzio o per provare redditi non dichiarati al fisco.
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