Tra i temi sui quali Pd e Cinque Stelle potrebbero scoprire di avere visioni diametralmente opposte c’è quello della tutela del copyright. Le nuove norme europee in materia, introdotte dalla direttiva approvata in via definitiva nel marzo scorso, dovranno essere recepite entro la primavera 2021 da tutti gli ordinamenti giuridici nazionali degli Stati del Vecchio Continente, Italia compresa.
Quando si comincerà a discutere di cosa inserire nella legge italiana di recepimento, le frizioni tra dem e pentastellati potrebbero esplodere in modo eclatante, anche perché i primi in sede europea hanno votato a favore della direttiva, mentre i secondi hanno votato contro.
Intanto dalla Francia è arrivato nei giorni scorsi un segnale contraddittorio. Il legislatore francese ha recepito per primo la direttiva, applicandola in modo rigido, con una precisa individuazione di obblighi a carico dei colossi del web che indicizzano i contenuti informativi prodotti dai siti sorgente. Questi ultimi, Google in particolare, hanno però dichiarato la loro indisponibilità a pagare per indicizzare i contenuti e quindi intendono limitare la condivisione di quelle informazioni ai soli titoli, escludendo anche gli snippet, cioè le anteprime degli articoli, composte da un’immagine e un paio di righe descrittive.
Se il gigante di Mountain View decidesse di adottare analoga condotta in tutti gli Stati europei, mettendo gli editori con le spalle al muro, questi ultimi si troverebbero di fronte a un’alternativa: consentire a Google di continuare a utilizzare i loro contenuti o correre il rischio di un crollo del proprio traffico generato dalle anteprime del motore di ricerca. Ecco perché l’attuazione della direttiva sul copyright continua a risultare un’incognita. A non dormire sonni tranquilli sono proprio i produttori di contenuti, che dopo aver fatto tante battaglie affinchè la direttiva recepisse le loro aspettative ora potrebbero sentirsi traditi dai singoli legislatori nazionali, anche quello italiano.