Presidente Bartoli, come vede oggi il mondo del giornalismo?
Siamo nell’era digitale. Senza disconoscere le grandi opportunità della rete, dobbiamo segnalare gli effetti distorsivi che avvengono sui social media. Viviamo in un gigantesco mercato mondiale dei dati personali gestito dalle grandi piattaforme il cui fatturato è spesso superiore a quello di Stati indipendenti. Le stesse piattaforme che vorrebbero decidere chi può parlare e chi no. Al di sopra degli Stati e delle leggi.
In questo quadro, l’informazione professionale assume una nuova centralità, il giornalismo è e resta una bussola in un territorio dove – solo in apparenza – tutti possono parlare ad una infinità di persone. Per questo il giornalista, oggi, deve avere ancora più attenzione ai propri doveri: verifica rigorosa delle fonti, continenza nel linguaggio, accuratezza della narrazione, rispetto della persona.
Nuove figure, come influencer giornalisti e social media manager, possono essere considerati a tutti gli effetti come PROFESSIONISTI dell’informazione? Si dovrebbe creare, secondo lei, un nuovo elenco per queste figure?
Oggi con il web vi è la possibilità di accedere ad una infinità di fonti di informazioni e ad una molteplicità di strumenti e canali, in continua evoluzione. Non possiamo più definire il giornalista in relazione al canale, o alla piattaforma o alla tipologia di testata dove opera (uso questo termine e non più “scrive”). Oggi il giornalista si definisce per il lavoro che fa. Vediamo realizzarsi, almeno dal punto di vista delle modalità di lavoro, lo slogan “giornalista è chi il giornalista fa”. Il punto, quindi, non è tanto andare ad individuare i profili tecnologici, ma qualificare il prodotto giornalistico nei tanti ambiti digitali. Pertanto, chi decide di aderire all’etica e alla deontologia del giornalismo, e ai suoi percorsi di formazione, verifica e alle regole della professione, deve essere accolto nella comunità.
Non vedo come un “influencer” possa entrare nell’Ordine visto che questi svolgono attività di puro marketing. Discorso diverso dei social media manager: alcuni operano in una dimensione di marketing, altri in una dimensione giornalistica e sono una risorsa centrale per le redazioni. Non credo nemmeno che occorra un nuovo elenco perché, come detto, non è più un problema di profilo, ma di sostanza.
Metaverso. Si potrebbe traslare il mondo del giornalismo nel Metaverso? In che modo? Quali potenzialità vede in questo spazio virtuale ancora in evoluzione? Quali rischi?
L’ecosistema digitale è in continua evoluzione e Metaverso è una delle creature più recenti. Fra poco dovremmo abituarci anche a lavorare con gli ologrammi (che potrebbero costituire un serio concorrente del Metaverso). Detto questo siamo ancora ai primi passi e occorre vedere quanto e se continuerà a crescere ed espandersi o se rallenterà. Sicuramente va seguito e al suo interno, come in tutti gli altri ambienti digitali, occorrerà traslare, nei modi opportuni e se e dove possibile, le buone pratiche del giornalismo. Rischi e potenzialità sono per certi versi simili a quelli incontrati con la nascita di internet. Occorre seguirne gli sviluppi. Certamente deve valere la stessa regola per i social media: non possono essere le piattaforme a decidere chi è giornalista e chi no.
Negli anni si sono succedute molte richieste di abolizione dell’Ordine dei giornalisti. Perché si dovrebbe mantenere in vita un organismo del genere, soprattutto in un tempo come questo in cui siamo invasi dalle tecnologie e si osa dire che “tutti” possono essere giornalisti?
Fare informazione oggi non è solo una questione di competenza tecnica. É anche questo, ma soprattutto è una questione di saper integrare queste competenze con un approccio etico e la necessità di seguire i binari tracciati da una deontologia che necessita di continui aggiornamenti. Possiamo dire che il diaframma che a lungo ha tenuto sperati il mondo della comunicazione da quello dell’informazione, sta diventando sempre più sottile.
Oggi l’Ordine assume una importanza ancora maggiore proprio a fronte del continuo mutare degli scenari dell’informazione e della comunicazione. Anche a livello europeo sta crescendo un dibattito sulla necessità di avere organismi di rappresentanza autogestiti e ben riconosciuti per tutelare l’autonomia e l’indipendenza dell’informazione. L’Ordine italiano può rappresentare un esempio in questo senso, a patto che il Parlamento si risolva ad approvare un drastico aggiornamento delle norme riguardanti, in primo luogo, l’accesso e la disciplina.
Qual è stato il momento in cui si è spezzato il rapporto di fiducia fra i cittadini e i media?
Rovescerei la domanda: ci sono segnali di ricucitura fra cittadini e media? Risposta affermativa: Diverse ricerche universitarie hanno rilevato, durante la pandemia, un sostanziale incremento degli utenti del web che si sono rivolti alle fonti giornalistiche certificate ed a quelle istituzionali. Un indubbio segnale di fiducia a fronte del dilagare di fake news e manipolazioni soprattutto nel mondo dei social media. Credo sia un segnale da non far cadere. Giornalisti e comunicatori istituzionali lo dovrebbero tenere ben presente per migliorare continuamente la qualità dell’offerta. È in questi contesti che il giornalismo professionale deve fare il massimo sforzo per mostrare il valore aggiunto della qualità dell’informazione, che significa verità sostanziale dei fatti, rispetto della deontologia, approccio etico e pluralismo.
Teniamo inoltre presente che si possono individuare due tipi di criticità nel rapporto fra cittadini e media. Il primo riguarda i centri di potere, che quasi sempre mal sopportano il giornalismo indipendente. Il secondo attiene a fenomeni più complessi che attengono alla diffusione di linguaggi di odio. Qui il giornalista diventa “un nemico”, un bersaglio “a prescindere”. Certamente la scarsa attenzione di alcuni colleghi per il rispetto della deontologia può contribuire ad alimentare l’ostilità verso il giornalismo.
Ormai si diventa utenti del web fin da bambini, ma con molta ingenuità. Tale ingenuità si riscontra anche nei genitori e negli adulti. Come si potrebbe diffondere la conoscenza dei propri diritti e dei rischi nel web per essere utenti più consapevoli? Per esempio, nelle scuole si potrebbe inserire una nuova materia? (la Finlandia già nel dopoguerra, quando ancora la televisione e internet non esistevano, aveva un programma di educazione ai media nelle scuole per contrastare la disinformazione)
L’Ordine è favorevole a iniziative di “educazione digitale” a partire dalle scuole. Sarebbe in perfetta sintonia con il lavoro che per anni è stato svolto con una serie di progetti realizzati dal Consiglio nazionale e da alcuni Consigli regionali, ma serve una iniziativa parlamentare per introdurre nelle scuole l’insegnamento dell’educazione civica digitale come materia non secondaria e accessoria per diffondere un uso consapevole della risorsa informazione oggi enormemente più disponibile che in altri tempi.
Come vede il futuro della carta stampata?
La carta stampata continuerà ad esistere, come continuano ad esistere i libri stampati e le sale cinematografiche che venivano dati per spacciate qualche anno fa. Ovvio si va verso un ridimensionamento vista la crescita dell’ecosistema digitale anche nei media. Per questo occorre che le testate giornalistiche seguano percorsi di innovazione per essere al passo dei tempi.
Molti giornalisti stanno acquisendo popolarità attraverso i social media. Oltre al “tradizionale” lavoro in redazione, realizzano reels, post, video, in cui spiegano la notizia. Questo sembra essere un ottimo modo per arrivare ai più giovani che si informano principalmente dai canali social. Anche le testate stesse hanno aperto i propri profili in rete. Caso emblematico è quello del Washington Post, che realizza video divertenti per diffondere informazioni sull’attualità. In Italia potremmo nominare Peter Gomez, che risponde alle domande dei suoi lettori-follower sui diversi temi di attualità. L’8 novembre scorso, l’Ordine Nazionale dei Giornalisti ha avanzato delle proposte al Parlamento per la modifica della deontologia applicata al mondo digitale e all’etica dell’informazione. Quali gli scenari futuri auspicabili?
Fare il giornalista oggi vuol dire padroneggiare i diversi linguaggi della comunicazione digitale, oltre a conoscere le dinamiche del sistema dei media tradizionali (stampa, televisioni, radio, agenzie). Questo comporta la necessità di un salto di qualità nella preparazione. Oggi c’è qualcuno che vorrebbe separare il giornalismo dall’attività dei social media manager, dai comunicatori, dai videomaker, dal giornalista pubblico. Noi riteniamo che sia il contrario, ossia che i giornalisti debbano acquisire le necessarie competenze digitali per essere in grado di sviluppare tutte le attività di informazione possibili.
Aggiungo inoltre che il Testo unico della deontologia già stabilisce che il giornalista, in quanto tale, è tenuto al rispetto delle norme anche quando utilizza i suoi canali social personali, perché giornalisti si è sempre, a tutte le ore, del giorno e della notte.
Se da un lato siamo di fronte a una situazione di “infodemia” e in rete vengono pubblicati migliaia di articoli al minuto, spesso ingannatori, con titoli clickbait e l’importante è solo raggiungere un elevato numero di visualizzazioni (oggi c’è l’ossessione per la quantità e la velocità), dall’altro abbiamo lo slow journalism, ovvero un giornalismo “lento”, un modello di giornalismo ispirato alla verifica delle fonti, all’accuratezza e alla qualità delle informazioni (un giornalismo, verrebbe da dire, più “sincero”).C’è spazio per questa filosofia di slow journalism? Oppure, secondo lei, i lettori odierni non sono pronti a questo cambio di ritmo?
Rispondo con un esempio: vi sono “youtuber” (alcuni dei quali sono giornalisti) che si occupano solo di informazione. Alcuni di questi sono specializzati nel realizzare lunghe video interviste a personaggi di rilievo (cultura, economia, sociale); parliamo di interviste di oltre un’ora, con ambientazioni molto semplici (un salottino e qualche faretto) e con immagine statica (senza montaggi, senza immagini aggiuntive). Ebbene questi video raccolgono milioni di visualizzazioni fra i giovani, il che significa che c’è una domanda di “slow information” e che la “frenesia dell’immediato”, del guardare solo i titoli, viene indotta e spinta da necessità di marketing e di business proprio dalle piattaforme il cui scopo è monetizzare il prodotto e non certo informare.
Come gli algoritmi stanno cambiando il mondo del giornalismo (ma anche quello della politica, dell’opinione pubblica, delle nostre democrazie)? Quanta importanza dovrebbero porre le testate giornalistiche agli algoritmi, che finiscono per ingabbiare non solo i lettori ma anche l’estro creativo dei giornalisti?
Ho fatto riferimento prima al rinnovato interesse verso le fonti giornalistiche nel periodo acuto della pandemia. E un segnale da non sottovalutare rispetto ai flussi dell’informazione digitale in cui tutti noi siamo quotidianamente immersi. Possiamo affermare è caduta definitivamente la visione mitologica secondo la quale la libera circolazione di qualunque opinione possa immancabilmente generare un risultato virtuoso e valido dal punto di vista conoscitivo. Quasi che, anche nell’ambito comunicativo, ci sia una sorta di legge di natura in grado di far irrimediabilmente approdare sempre e comunque qualunque flusso di opinioni alla verità sostanziale dei fatti.
Chiariamoci anche sul concetto di disintermediazione: nel sistema dei social media non esiste la comunicazione diretta, ma solo l’illusione di essa, in quanto sono le piattaforme, attraverso gli algoritmi, la profilazione estrema e l’intelligenza artificiale a guidare e pilotare l’utente, cioè “a mediare” il flusso informativo. É qui che l’informazione professionale riacquista una nuova centralità e rilevanza, nel suo essere in grado di mostrare affidabilità e accuratezza a fronte di un mare magnum del web e dei social dove si trova di tutto: notizie affidabili, manipolazioni, fake news, opinioni personali rispettabilissime ma prive di un adeguato fondamento di conoscenza.
Sta a noi giornalisti e al sistema dell’informazione professionale gestire in positivo le innovazioni (algoritmi compresi) e offrire un prodotto affidabile e di qualità.