È quanto ha affermato la Cassazione in una vicenda che ha per protagonista un utente del noto social network condannato per diffamazione a seguito di alcune frasi offensive pubblicate sulla bacheca del proprio profilo Facebook e rivolte ad altre persone.
Il titolare del profilo si è difeso lamentando la mancanza della prova che lo scritto fosse stato effettivamente pubblicato da lui.
La Suprema Corte ha respinto il ricorso in quanto il profilo era personale, a suo esclusivo utilizzo, e perché la mancanza di una denuncia di furto di identità – che avrebbe potuto far ipotizzare un eventuale utilizzo abusivo dell’account – non era stata mai presentata. È quanto risulta dalla sentenza numero 37070 deposita il 30 settembre dalla V sezione penale della Cassazione.
A nulla rilevano alcuni messaggi nei quali si afferma che la presunta notizia sia frutto di una condotta illecita. Il messaggio, infatti, non è equiparabile ad una denuncia.