Il caso, portato all’attenzione del Garante, ha origine dalla richiesta avanzata da un soggetto nei confronti di Google, che mirava alla deindicizzazione di alcuni indirizzi URL relativi ad articoli associati al suo nome e cognome, i quali trattavano di una vicenda giudiziaria da lui vissuta e conclusa con un decreto di archiviazione.
Il diritto invocato dal soggetto è contemplato nel nuovo articolo 64-ter delle disposizioni attuative del Codice di procedura penale, introdotto con la riforma Cartabia. Questa norma concede alla persona per la quale è stata emessa una sentenza di proscioglimento, non luogo a procedere o un decreto di archiviazione, la facoltà di richiedere l’inibizione dell’indicizzazione o la deindicizzazione dei dati personali contenuti nel provvedimento giudiziario sulla rete Internet. Tale facoltà prevede che la cancelleria del giudice possa apporre, su richiesta dell’interessato, un’annotazione in calce al provvedimento stesso per renderlo un titolo idoneo per ottenere la suddetta deindicizzazione.
In base a questa interpretazione, il soggetto aveva richiesto e ottenuto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale competente l’aggiunta di un’annotazione formale al decreto di archiviazione. Questo rendeva il provvedimento un titolo idoneo per richiedere a Google la deindicizzazione. Tuttavia, il gestore del motore di ricerca aveva rimosso solo una parte degli URL, ritenendo che per gli altri fosse ancora presente un interesse pubblico alla conoscenza della notizia, in quanto recente, correttamente aggiornata e relativa alla vita professionale dell’interessato nel contesto pubblico. Di conseguenza, lamentando un pregiudizio alla sua reputazione personale e professionale, il soggetto si era rivolto al Garante della privacy con la richiesta di ordinare al motore di ricerca la rimozione degli specifici URL in questione.
Il Garante, rovesciando l’interpretazione di cui sopra, ha ritenuto tuttavia infondato il reclamo, rinviando alla disciplina e ai limiti previsti dall’art. 17 del GDPR, come stabilito dallo stesso dettato normativo dell’art. 64-ter disp. att. c.p.p.
Come è noto, la disposizione relativa al diritto all’oblio presente nell’articolo 17 del GDPR stabilisce un diritto non assoluto alla cancellazione dei dati personali (e quindi alla deindicizzazione ai sensi del paragrafo 2), ma subordinato alla presenza di motivi tassativi elencati nel primo paragrafo. In particolare, il paragrafo 3 prevede che in alcun caso la cancellazione o deindicizzazione dei dati personali possa essere richiesta se il trattamento è necessario per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione.
In altre parole, la decisione favorevole che conclude il procedimento penale rappresenta indubbiamente un titolo idoneo per ottenere un provvedimento di deindicizzazione. Tuttavia, l’accoglimento della richiesta è soggetto a una ponderazione preliminare, compiuta dal responsabile del trattamento (nel caso specifico, Google), tra il diritto all’informazione della collettività e il diritto all’oblio dell’individuo, al fine di assicurare un equo bilanciamento della libertà di espressione e di informazione.
Nel caso specifico esaminato dal Garante, si tratta di informazioni esatte e attuali la cui divulgazione è ritenuta funzionale a informare l’opinione pubblica sugli esiti favorevoli della vicenda riguardante la persona indagata. Il provvedimento sottolinea che questa circostanza assume rilevanza, specialmente considerando il ruolo svolto dall’interessato, e che dunque occorre far prevalere il diritto all’informazione.