Lei nel 2020 ha condotto un progetto di ricerca per l’Università Cattolica sui danni da circolazione di auto a guida autonoma; come pensa si svilupperà la responsabilità connessa a questo tipo di tecnologia con l’evoluzione delle nuove intelligenze artificiali?
Il principale aspetto di novità è dato dalla sempre maggiore autonomia dei veicoli, che assume rilevanza anche sul piano della imputazione della responsabilità per i danni eventualmente cagionati dalla circolazione dei veicoli. Nel caso di guida autonoma, in base alla disciplina del codice civile, oltre al proprietario, può essere chiamato a risponderne anche il soggetto che ne ha la custodia, indipendentemente dalla titolarità. Per converso è destinata a declinare la responsabilità del conducente, che ha un ruolo sempre meno importante nella causazione degli incidenti e che addirittura manca del tutto nel caso di auto a guida completamente autonoma.
Ritengo invece probabile un’espansione della responsabilità del produttore, che finora ha avuto un ruolo marginale. Nell’attuale contesto, infatti, i dispositivi di sicurezza, nella misura in cui riducono i rischi di errore umano, generano anche una aspettativa di maggiore sicurezza rispetto ai veicoli tradizionali, destinata ad aumentare di pari passo con il progresso tecnologico. Da questa prospettiva, l’auto potrà essere considerata difettosa, là dove non offra la sicurezza che ci si poteva legittimamente attendere. Si può peraltro ipotizzare che nel prossimo futuro cambi anche il modello di assicurazione della responsabilità. A mio avviso, l’attuale assicurazione obbligatoria del proprietario diventerà anacronistica e sarà sostituita da una assicurazione per la responsabilità del produttore. Si potrebbe anche pensare che i produttori non vendano più le auto, sempre più autonome e interconnesse anche con le infrastrutture stradali, ma che le mettano a disposizione in base a contratti aventi ad oggetto la prestazione di vari servizi, compresa la copertura assicurativa contro una pluralità di rischi.
Ritiene che l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per i giovani sia un vantaggio o uno svantaggio?
Il discorso mi sembra complesso e va articolato su piani diversi. In termini di stretto utilizzo delle nuove tecnologie penso che i giovani, in quanto “nativi digitali” siano avvantaggiati rispetto a chi è cresciuto e si è formato in un contesto diverso. Altra questione è se la civiltà delle macchine intelligenti nella quale i giovani saranno protagonisti sarà migliore di quella attuale. La risposta dipende dal tipo di tecnologia e dal fatto che questa sia davvero pensata e realizzata per finalità e in termini rispettosi della persona umana. Anche da questo punto di vista ci potrebbero essere vantaggi per i giovani che vivranno nella società del futuro. Bisogna però valutare e governare i nuovi rischi che possono derivare dalle innovazioni.
Considerando l’AI generativa di testi o immagini, ritiene che essa possa migliorare l’esperienza di apprendimento degli studenti?
È importante che ne sia fatto un uso consapevole e diretto a accrescere le potenzialità umane e non a sostituire l’uomo. Da questo punto di vista è importante che i giovani ricevano una adeguata formazione anche relativa ai rischi di determinati strumenti per valori fondamentali della persona quali la libertà, la salute e la privacy. Occorre anche minimizzare il rischio del c.d. deskilling, cioè della perdita di determinate competenze.
Come possono essere tutelate le parti deboli nei contratti in materia di Intelligenza Artificiale?
Penso che gli strumenti giuridici possano fare molto, ma che da soli non siano sufficienti. È fondamentale una cultura diffusa che ci renda sempre più consapevoli delle opportunità e dei pericoli connessi all’Intelligenza artificiale. La tutela dei soggetti non si realizza solo nelle aule giudiziarie o negli uffici delle autorità di vigilanza, ma anche nelle scuole e nelle università.
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