Nell’occasione degli Stati generali dell’editoria, che si sono tenuti nei mesi scorsi a Roma per volontà dell’ex sottosegretario con delega all’editoria Vito Crimi, il prof. Ruben Razzante ha analizzato le criticità del sistema editoriale italiano e parlato della necessità di valorizzare l’informazione di qualità per contrastare l’anarchia. Qui di seguito è riportato il suo intervento.
«Dobbiamo riflettere seriamente su quanti danni ha fatto, negli anni, al sistema editoriale, una sorta di dirigismo partitocratico che ha in qualche modo imbalsamato l’editoria erogando finanziamenti pubblici spesso a pioggia, sicuramente in base a criteri non meritocratici, criteri che erano basati su elementi non connessi alla produttività, all’efficienza del sistema editoriale. Criteri arbitrari, spesso anche iniqui, basati sul numero di copie stampate, anziché sul numero di copie effettivamente vendute. Tante anomalie sulle quali un po’ il sistema editoriale si è adagiato, e che però hanno impedito lo sviluppo di un modello di business efficiente. Il secondo elemento è il ritardo con cui gli editori hanno creduto nella rete e nel giornalismo on line. L’avvento di internet, paradossalmente, da opportunità è diventato zavorra, perché ha portato un progressivo depauperamento e una svalutazione dell’opera creativa di natura giornalistica. Il terzo elemento è il non essere riusciti per anni a fare sistema con gli altri soggetti della filiera. L’ aver ragionato un po’ con uno schema autarchico di autosufficienza proprio perché c’era l’ ombrello statale o comunque eravamo nell’epoca delle vacche grasse, e questo certamente ha penalizzato lo sviluppo del sistema editoriale. Infine il quarto elemento è il non aver valorizzato sufficientemente il lavoro giornalistico, che non vuol dire rivendicazioni corporative o contrattuali. Non aver creduto sufficientemente nella professionalità giornalistica, anche per esempio con percorsi formativi riservati ai giornalisti, che gli stessi editori avrebbero dovuto e potuto proporre negli anni, proprio per introdurre la forza lavoro giornalistica nel contesto più ampio della complessità multimediale. Secondo me non è stato fatto, anche per pigrizia dei giornalisti, ma anche perché probabilmente è mancata quella visione strategica di ottimizzazione della forza lavoro giornalistica che avrebbe potuto imprimere un’accelerazione proprio alla crescita delle imprese editoriali.
C’è un dibattito da sempre molto vivo nel nostro Paese sulla figura degli editori puri. I condizionamenti della politica e di altri interessi extra editoriali sono stati prevalenti negli anni. C’è stata una continua influenza di altri poteri sulle scelte editoriali. Ci sono tante pagine di storia dell’informazione italiana che documentano questo. Organi di informazione che hanno preso delle posizioni molto nette che hanno influenzato la vita politica del Paese. E hanno esercitato un ruolo debordante rispetto a quella che era la loro missione informativa di garantire l’informazione come bene pubblico, neutrale, obiettivo, imparziale e super partes. Un’informazione come bene di tutti. Come si può fare per uscire da questa situazione di penalizzazione del sistema editoriale dovuto a scelte sbagliate, ma anche, ad una congiuntura obiettivamente sfavorevole?
Vedo con favore le prese di posizione dei vertici di Google e di Facebook che dichiarano di volersi impegnare nella valorizzazione dell’informazione di qualità. Un impegno che resta sterile se non c’è una formalizzazione puntuale di questi impegni. Però è una testimonianza di come questi colossi si rendano conto della necessità di valorizzare l’informazione di qualità. Unico antidoto all’anarchia e al fatto che la rete torni ad essere una giungla senza nessun controllo e senza alcuna possibilità di discernere quelli che sono i contenuti di qualità da quelli che sono i contenuti fake o di altra natura. La direttiva sul Copyright che è stata approvata nel mese di marzo in Europa all’articolo quindici stabilisce l’obbligo da parte dei colossi del web di stipulare degli accordi con i produttori di contenuti, quindi con gli editori tradizionali, per poter indicizzare questi prodotti di natura anche giornalistica. Questo secondo me è uno schema che può funzionare a patto che i singoli Parlamenti degli Stati europei, quindi i singoli ordinamenti giuridici nazionali recepiscano l’essenza di questa direttiva che è proprio quella di una corresponsabilità più ampia nel definire la gestione dei costi di produzione dei prodotti informativi. Io credo che il Governo dovrebbe al termine degli Stati generali promuovere l’ attivazione di un tavolo di consultazione permanente con gli editori e le altre parti coinvolte nell’attuazione della direttiva sul Copyright. Perché le cose da dire, da definire, da puntualizzare, da circostanziare, nell’attuazione degli accordi contrattuali tra Google e gli altri colossi del web e gli editori tradizionali, sono talmente tante, che richiedono una regia che non può essere quindi soltanto affidata al dialogo one to one. Il coordinamento deve proseguire sotto il cappello del dipartimento perché le cose da definire sono tante anche in ragione della necessità di questo adeguamento normativo alla direttiva. Vedo ampi spazi per poter rilanciare le imprese editoriali attuando questa direttiva attraverso accordi contrattuali definiti e puntuali. Il declino dell’impresa editoriale rischia di essere un declino che va a detrimento anche di quelli che sono gli interessi delle OTT. La perdita di credibilità complessiva dei contenuti in rete va a detrimento del business di questi soggetti. Per cui è evidente che abbiamo probabilmente la fortuna di avere colossi che possono stritolare anche in termini numerici le aziende editoriali, ma che non sono interessati a farlo, e non lo faranno perché hanno invece tutto l’interesse a valorizzare quello che a fatica le imprese editoriali continuano a fare nel nostro Paese».