“La rete è un luogo di grandi opportunità perché offre la possibilità a cittadini, imprese, pubbliche amministrazioni di svolgere online delle attività che prima esistevano solo in presenza (dalle riunioni ai pagamenti digitali, dallo smart working alla didattica a distanza). È un volano di crescita per la collettività e per le individualità, ma è anche un regno di insidie, di rischi e di pericoli, soprattutto in una fase come quella che siamo vivendo, dove la rete è stata molto utilizzata anche a causa della pandemia”. A delineare potenzialità e lati oscure del web è Ruben Razzante, esperto docente di Diritto della comunicazione per le imprese e i media, di Diritto europeo dell’Informazione e di Diritto dell’Informazione all’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che nel suo libro “La rete che vorrei. Per un web al servizio dei cittadini”, pubblicato da FrancoAngeli nell’ottobre 2020 (e arrivato alla sua terza ristampa), affronta l’impatto della digitalizzazione del quotidiano, la qualità dei contenuti informativi e virtuali, l’imporsi delle fake news e l’ambiguità di un mondo, quello virtuale, con tante sfaccettature.
“Abbiamo un aumento degli attacchi informatici, una moltiplicazione dei disagi psicologici dei minori, dei danni rilevantissimi della dad ed elementi allarmanti che riguardano la pedofilia, il cyber bullismo, il revenge porn, tutti fenomeni deteriori che in rete attecchiscono facilmente e che lo rendono un luogo di insidie da combattere”, spiega il professore, nominato recentemente esperto dell’Unità di monitoraggio per il contrasto della diffusione di fake news relative al Covid-19 sul web e sui social (istituita dal Sottosegretario di Stato con delega all’informazione e all’editoria).
Per Razzante, in questa fase storica particolare, i problemi che hanno riguardato l’espansione della rete sono stati diversi: il sovraccarico di traffico (che non sempre è stato coperto dalle infrastrutture) e il ritardo tecnologico del Paese, in cui manca la cultura digitale in un’ampia fetta di popolazione. “In molte realtà territoriali periferiche abbiamo avuto difficoltà nella gestione della dad e dello smart working, ma anche dello smaltimento dei carichi di pratiche delle pubbliche amministrazioni. C’è, quindi, un problema di ritardo tecnologico, legato alla banda ultra larga, che è ancora un miraggio e c’è poi il digital divide: molti cittadini, prima della pandemia, non avevano mai mandato un mail in vita loro, né si erano mai collegati a un sito e si sono dovuti adeguare alla rete, in modo accelerato e forzato, sbarcando su un pianeta con tutte le difficoltà del caso. Per esempio, gli over 65 che non avevano mai familiarizzato con il web, hanno dovuto farlo con il primo lockdown e sono stati i più esposti alle fake news e alle manipolazioni, perché non sapevano navigare in un modo consapevole”. E sulla diffusione delle notizie false (fenomeno che esiste da tempo), Razzante spiega come la rete abbia intensificato la loro propagazione: “Anche se le fake news non sono nate con la rete e non moriranno con lei, l’avvento di internet ne ha amplificato la portata distruttiva, perché il web ha un effetto moltiplicatore”. “Vorrei una rete più trasparente, inclusiva, democratica e pluralista, nella quale siano evidenti i responsabili delle informazioni che circolano, in cui ci sia una paternità certa dei dati, in cui si possano rettificare con tempestività e incisività le notizie e in cui ci sia la possibilità di tutelare l’identità digitale delle persone, rispettando i diritti di tutti” aggiunge Razzante.
Ma per rendere concreto ciò che sembra un’utopia, il docente elenca diversi strumenti (tutti descritti nel volume, scritto a più mani): “C’è il diritto internazionale, più incisivo di quello nazionale (che ha le armi abbastanza spuntate, essendo la rete un fenomeno obliquo), ma servono anche regole, che vincolino maggiormente i colossi del web e tutti i responsabili dei reati in rete, la deontologia, con cui tutte le categorie dovrebbero disciplinarsi, affinché la produzione e la diffusione dei contenuti sia più responsabile, il potenziamento della cyber security e l’aspetto culturale ed educativo. Questi strumenti devono entrare in sinergia tra loro. Tutto ciò, però, si fa con il tempo: occorre che i governi, i soggetti privati e le aziende si impegnino in questa direzione.
Di Giovanna Pavesi