La Corte di cassazione ha recentemente chiarito che il reato di frode informatica può comportare l’aggravante del furto di identità digitale, punendo chi sottrae fondi dall’home banking di un’altra persona.
Secondo la Corte, la nozione di identità digitale non si limita alle procedure di validazione della Pubblica Amministrazione, ma si estende anche al settore privato, compreso quello del credito al consumo. L’obiettivo del legislatore, infatti, è quello di promuovere la fiducia nei servizi online e di contrastare le frodi informatiche.
La questione è stata sollevata da un ricorrente che contestava l’applicazione dell’aggravante prevista dall’articolo 640-ter, terzo comma, Codice penale, sostenendo che il concetto di identità digitale non si adattasse al caso in esame, dove l’accesso al conto corrente della vittima era avvenuto tramite una chiavetta elettronica per la comunicazione del codice di accesso.
Tuttavia, la II Sezione penale ha stabilito che la nozione di identità digitale include anche l’uso di credenziali di accesso a sistemi informatici gestiti da privati. Pertanto, l’aggravante si applica anche nel caso di utilizzo di dispositivi come chiavette elettroniche per l’accesso a servizi bancari online.
In sostanza, la Corte ha confermato che l’uso non autorizzato di dispositivi elettronici, come chiavette elettroniche, per accedere al conto corrente di un’altra persona costituisce un furto di identità digitale. Questo presuppone l’utilizzo non autorizzato delle credenziali di accesso al conto, identificando in modo esclusivo ed univoco il titolare del conto.
M.T.