Come i nostri dati vengono usati dai colossi del web? La domanda non è nuova e le risposte prevalenti sono tutt’altro che rassicuranti. Gli enormi volumi di nostri dati che finiscono nella disponibilità dei grandi operatori digitali si traducono in vantaggi economici per questi ultimi.
Noi li cediamo inconsapevolmente e per una nostra convenienza, cioè per avvalerci di servizi che ci sono molto utili e ci fanno risparmiare tempo. Molti di questi servizi fornitici dai colossi del web ci appaiono gratuiti ma il prezzo che noi inconsciamente paghiamo è proprio quello di fornire loro una serie di dettagliate informazioni sui nostri gusti, le nostre abitudini, le nostre preferenze.
È come se rispondessimo costantemente a sondaggi nei quali ci viene chiesto ciò che ci piace, ciò che acquistiamo, ciò che consumiamo. Per le strutture commerciali e di marketing delle aziende queste informazioni sono una ricchezza enorme che finisce per incrementare i loro introiti.
E la nostra privacy? Siamo proprio sicuri che essa venga effettivamente preservata da queste invasive attività di profilazione operate nei nostri confronti? E le norme antitrust vengono applicate nell’ambito dei big data o tali giganti della Rete finiscono per diventare veri e propri monopolisti nella gestione dati?
Urgono risposte per gli utenti-consumatori, che dovrebbero in verità iniziare a valorizzare questo loro enorme patrimonio consistente nelle informazioni che cedono continuamente, spontaneamente e gratuitamente a chi le monetizza.
Per questo l’indagine conoscitiva condotta congiuntamente da Agcom, Autorità Garante della privacy e Autorità antitrust, che ha già prodotto alcune linee guida nell’attesa di offrire un documento ampio e dettagliato su abusi e possibili correttivi, appare un’iniziativa meritoria e preziosissima.