Se in Italia la situazione epidemiologica non sembra migliorare, altri Paesi del mondo sembrano invece essersi ripresi quasi del tutto dalla pandemia che ha tenuto fermo il mondo per un intero anno.
Volendo ragionare a livello europeo, uno dei primi Paesi che dà piccoli segnali di ripresa è la Germania, che dopo quasi tre mesi di duro lockdown ha previsto un allentamento delle misure; le attività commerciali e soprattutto quelle ludiche, come musei e gallerie, sono tornate ad essere aperte su appuntamento e laddove l’incidenza settimanale dei contagi su 100mila abitanti sia inferiore a 50.
Sul fronte dei contatti privati sono possibili incontri fra diversi nuclei familiari ed inoltre scuole e parrucchieri hanno ricominciato la loro attività.
Queste attività risultano la conseguenza della strategia varata dal Bund e dai Laender: è inevitabile comunque temere sempre l’arrivo di una terza ondata, in cui la variante britannica possa fare da acceleratore, ma dopo molte settimane di contagi si cerca di vedere lo spiraglio di luce.
Sul fronte mondiale, invece, alcuni Paesi fanno enormemente discutere per l’improvviso calo dei contagi e la ripresa.
Un primo caso è Israele, che ha compiuto di recente un importante passo per il ritorno alla normalità permettendo la riapertura di bar e ristoranti a coloro che sono dotati di passaporto vaccinale. La campagna vaccinale messa in atto dal premier israeliano sta infatti evidenziando risultati molto positivi: attualmente è il primo Paese ad emergere dal Covid e più del 40% della popolazione è già stata vaccinata.
Il piano di vaccinazioni è stato infatti riconosciuto come il più efficiente e meglio organizzato al mondo e la velocità di somministrazione delle dosi, che sono state pagate ad un prezzo superiore rispetto a quello europeo, sta permettendo ad Israele di riaprire gradualmente le attività commerciali dopo tre lockdown.
Il premier ha però specificato che “non ne siamo fuori completamente, dovremo indossare la mascherina ancora per un po’ di tempo, ma la pandemia è ormai dietro di noi”.
Un ulteriore caso emblematico è quello dell’India, dove sembra non ci si ammali più di Covid-19. Solo un anno fa l’India sembrava essere uno dei Paesi in cui la pandemia stava colpendo più drammaticamente ed i casi di infezione arrivavano a numeri esorbitanti, circa 80mila al giorno. Inoltre, il sistema sanitario era considerato inadatto a gestire un’emergenza pandemica e si immaginava dunque che il Paese avrebbe subito enormi perdite.
A distanza di un anno però la situazione sembra essere enormemente cambiata: i casi di infezione sono infatti drasticamente calati e ci sono stati anche giorni in cui si sono registrati zero morti.
La situazione risulta paradossale in quanto nel Paese non si sono mai verificati lockdown o restrizioni particolarmente rigide come in Europa, ma vigono semplicemente regole per il distanziamento sociale e l’uso della mascherina.
Il miglioramento, inoltre, non può essere motivato dalle vaccinazioni in quanto il Paese ha somministrato meno di una dose ogni 100 persone, secondo i dati del “Our World In Data”.
Alcuni virologi hanno proposto ipotesi più o meno credibili per la spiegazione del fenomeno: la prima è che ci sia una combinazione di due fenomeni, l’età media molto bassa della popolazione indiana e una prima avvisaglia di immunità di gregge dovuta alla prima e la seconda ondata che hanno colpito duramente gli abitanti dei centri urbani, cioè le zone con la densità abitativa maggiore.
La seconda ipotesi, considerata anche più probabile della prima, è che il crollo dei contagi riguardi i dati, e non la realtà della pandemia. Come riporta CNN “a settembre, il Paese stava conducendo più di 1 milione di test al giorno mentre a febbraio il numero è sceso tra 600 mila e 800 mila al giorno”. Il tasso di positività dei test condotti, peraltro, si aggira intorno al 6%. Significa che in media tra tutte le persone che in India si sottopongono a tampone 6 su 100 risultano positive. L’Organizzazione Mondiale della Sanità a questo proposito suggerisce ai Paesi di allentare le misure di contenimento soltanto quando per due settimane di fila il tasso è uguale o minore al 5%.
Sulla situazione indiana, inoltre, grava anche la prospettiva delle nuove varianti. In India sono già stati riscontrati casi di variante inglese, per esempio, e come è risaputo, purtroppo, alla diffusione di questa variante corrisponde, nel giro di poche settimane, un consistente aumento della velocità di diffusione del virus.
Allentamenti delle misure resistrittive ci sono stati anche in Libano e nel Regno Unito: nel primo caso sono stati aperti negozi ed istituzioni in fascia oraria giornaliera mentre nel secondo caso gli alunni delle scuole britanniche sono tornati in aula e questo rappresenta il primo passo per uscire dal terzo lockdown.
Un Paese invece che fa fortemente discutere è l’islanda: la capitale Reykjavik è infatti riuscita ad appiattire completamente la curva dei contagi già due mesi fa senza ricorrere a provvedimenti drastici. Il governo dell’“isola felice” ha deciso dal primo giorno di delegare la gestione della pandemia ad organismi tecnici, che si sono mossi con oculatezza. Uno degli aspetti che fa maggiormente discutere e su cui probabilmente l’Italia intera dovrebbe interrogarsi è che, durante le conferenze stampa in cui il capo epidemiologo parlava agli islandesi per informarli sullo stato di cose, non sono mai stati usati toni allarmistici bensì pacati e rasserenanti.
Attualmente le misure in vigore sono poche: i ristoranti sono aperti fino alle 22 e possono ospitare circa 20 clienti, gli impianti sportivi come palestre e piscine operano con restrizioni sugli ingressi, così come le attività ludiche come cinema e teatri. Anche gli spostamenti all’interno del paese, ad esempio, non sono vietati, non c’è coprifuoco e non vi sono mai stati lockdown: i viaggiatori devono semplicemente sottoporsi ad un tampone in entrata nel paese, fare una breve quarantena di 5 giorni e sottoporsi successivamente ad un secondo test: qualora anch’esso risulti negativo possono muoversi tranquillamente.
Il Paese ha tutte le carte in regola per trasformarsi in una sorta di Nuova Zelanda europea e per tornare molto presto alla normalità. L’Islanda è una nazione insulare, isolata e poco popolata e queste caratteristiche la hanno aiutata nel fronteggiare al meglio la diffusione del virus.
Non è stato, dunque, particolarmente difficile contenere il virus e le poche minacce sono venute dall’esterno.
L’ottima organizzazione dei servizi sanitari a livello territoriale ha consentito a circa il 5 per cento della popolazione, come testimoniato da OurWorldinData, di ricevere almeno la prima dose del vaccino. L’obiettivo, qui come altrove, è il raggiungimento dell’immunità di gregge e la creazione di un vero e proprio fortino anti-Covid in grado di accogliere i turisti di tutto il mondo nella più totale sicurezza.