Come già accaduto in passato, l’organizzazione non governativa Avaaz si è scagliata contro Facebook, lamentando una cattiva gestione dei contenuti da parte del social network. A differenza di quanto avvenuto negli Stati Uniti, infatti, in Paesi europei come l’Italia, la Francia o la Spagna non si è adottata la medesima modalità di intervento nel contrastare il fenomeno delle fake news sulla pandemia.
Nell’ultimo rapporto dell’organizzazione, infatti, sono state analizzate in dettaglio 23 differenti tesi ingannevoli, non tanto da un punto di vista quantitativo bensì qualitativo, presenti all’interno di 135 post che sono stati visualizzati da milioni di persone. Tra le bufale segnalate, degna di nota è quella risalente al 3 gennaio, che riportava il pensiero negativo di Bill Gates sui vaccini, convinto avessero già provocato la morte di 700mila persone. Analogamente risultava fasulla la notizia che diversi dottori fossero certi di un’alterazione del dna a causa dei vaccini, così come quella sull’obbligo della mascherina, necessario a uno smaltimento delle scorte a fronte dell’acquisto in massa da parte degli Stati nei mesi precedenti.
Secondo Avaaz, mentre in inglese la maggior parte dei post che hanno diffuso tali ardite informazioni sono stati bloccati senza riuscire quindi a superare le barriere di Facebook, per l’italiano, invece, ben il 69 per cento di post disinformativi è riuscito a trovare una corsia preferenziale. Segue il francese con il 58 per cento, il portoghese con il 50 e lo spagnolo con il 33. Tale disparità è legata principalmente alla maggiore abilità dell’intelligenza artificiale nell’analisi dei testi in lingua inglese, per la quale esistono molti più scritti. Significa pertanto che nelle altre lingue, modificando le frasi ed evitando l’utilizzo di determinati termini, risulta possibile superare le barriere degli algoritmi, compresi quelli del social network.
Luca Nicotra, che ha guidato l’indagine di Avaaz, oltre ad aver sottolineato come siano penalizzate lingue come la nostra, a tal proposito ha aggiunto: “E poi c’è una differenza anche in chi controlla i contenuti: i moderatori in Europa sono probabilmente meno. Nessuno vuole la censura ma si tratta di stabilire un percorso graduale fatto di passi in avanti e con verifiche oggettive degli stessi. Non è un terreno semplice, anche dal punto di vista tecnico. Starà ora alla Commissione europea decidere come e quando intervenire”.