La prossima potrebbe essere la settimana buona per rinnovare i vertici dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali (Garante privacy) e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom). Il prolungato stallo è figlio dell’incapacità dell’attuale maggioranza di trovare accordi di potere su quelle poltrone. Ai tempi della cosiddetta Prima Repubblica, tanto vituperata da chi governa ora ma anche tanto rimpianta da molti altri, le spartizioni avvenivano col Manuale Cencelli e privilegiavano con chiarezza i rapporti di forza tra gli alleati di governo ma anche le relazioni di buon vicinato con le opposizioni, proprio in ossequio a un ideale democratico di universalità nei meccanismi di rappresentanza.
I collegi delle due Autorità sono scaduti ormai otto mesi fa e, rinvio dopo rinvio, sono relegati all’ordinaria amministrazione. Se anche il tentativo parlamentare della prossima settimana dovesse naufragare sugli scogli dei veti incrociati e delle tensioni tra correnti pentastellate e tra grillini e altri partiti della maggioranza, saremmo davvero alla farsa.
Potrà sembrare bizzarra e superficiale la proposta di modificare la normativa vigente e di introdurre il metodo del sorteggio per la designazione dei commissari dell’Agcom e dell’Autorità Garante per la privacy, ma almeno avrebbe il pregio della neutralità e dell’imparzialità. Fissata con chiarezza l’asticella dei requisiti per potersi candidare, avremmo la certezza di una selezione libera da condizionamenti politici e da estenuanti negoziazioni di potere. E se ne gioverebbe innegabilmente anche l’autonomia degli estratti.