Con la sentenza n. 5701/2024, la Corte di Cassazione ha confermato che l’invio di comunicazioni, anche a più destinatari, tramite il sistema di messaggistica di Facebook, non può costituire diffamazione se i messaggi sono inviati individualmente a ciascun destinatario, non soddisfacendo il requisito della comunicazione diretta a più persone.
È stato così respinto il ricorso di un uomo contro l’ex compagna che aveva inviato messaggi privati a due suoi amici “con l’intento preciso di danneggiarlo e di isolarlo dal contesto degli amici e colleghi di lavoro”.
Inizialmente, il tribunale aveva dato ragione all’uomo, condannando la donna a risarcirlo con 5.000 euro per danni morali. Successivamente, la Corte d’Appello di Milano ha cambiato la decisione, sostenendo che non vi fossero elementi di diffamazione poiché i messaggi erano stati inviati singolarmente ad un solo destinatario per volta, in modo confidenziale e senza superare i limiti della discrezione. La Corte ha specificato che le comunicazioni con i due amici, avvenute in momenti diversi tramite uno scambio di messaggi su Facebook, erano rivolte ad un unico interlocutore per volta, quindi mancava il requisito oggettivo richiesto dalla giurisprudenza per costituire diffamazione, che richiede la comunicazione diretta a una pluralità di destinatari. Inoltre, ha valutato che tali comunicazioni non avevano una connotazione denigratoria, ma erano semplicemente espressione della delusione personale e delle preoccupazioni dell’appellante riguardo al comportamento ritenuto immaturo del suo ex partner.
Il ricorso presentato è stato respinto dalla Terza Sezione Civile. La Corte ha chiarito che, nel caso in cui vi siano state più comunicazioni, ma tutte indirizzate ad un solo destinatario, l’elemento oggettivo della diffamazione, caratterizzato dalla diffusione delle espressioni denigratorie, potrebbe configurarsi solo se l’agente, pur comunicando con una sola persona, manifesti volontà o adotti comportamenti che inducano quest’ultima a diffondere ulteriormente il contenuto diffamatorio. Tuttavia, il giudice di merito ha escluso questa possibilità, un giudizio che la Corte di Cassazione non può sindacare.
Inoltre, la Corte ha respinto l’idea che lo strumento di comunicazione utilizzato possa di per sé facilitare la diffusione delle comunicazioni. Secondo la decisione, valutare in modo predefinito la potenziale capacità di diffusione del mezzo di comunicazione senza considerare le circostanze specifiche del caso, equivale a trasferire indebitamente sul mittente l’onere di dimostrare di non aver voluto la diffusione ulteriore del messaggio.
In conclusione, la Cassazione ha affermato che non si può presumere, in mancanza di prove contrarie, che i messaggi inviati tramite i social network siano destinati alla diffusione, né che il mittente abbia consapevolmente accettato il rischio di diffusione da parte del destinatario. Pertanto, il mittente non deve subire le conseguenze di una diffusione che implichi un discredito dell’individuo di cui si parla, a meno che non vi siano prove che egli abbia intenzionalmente voluto tale diffusione.
M.T.