La vicenda inizia il 4 luglio 2023, quando il giudice distrettuale Terry A. Doughty ha preso la decisione di imporre 10 specifiche restrizioni all’attività del governo USA, accusato di aver influenzato impropriamente le decisioni di tutte le principali piattaforme social riguardo la pubblicazione o la cancellazione di post inerenti alla pandemia da Covid-19.
La Corte d’Appello ha però rivisto questo provvedimento, con una sentenza che respinge ben nove di questi divieti. Il decimo, invece, è stato modificato per limitarlo ad evitare gli sforzi volti a “costringere o incoraggiare in modo significativo le società di social media a rimuovere, eliminare, sopprimere o ridurre, anche attraverso l’alterazione dei loro algoritmi, i contenuti pubblicati sui social media contenenti contenuti protetti”.
Secondo la sentenza “negli ultimi anni un gruppo di ufficiali federali è stato regolarmente in contatto con quasi tutte le maggiori compagnie di social media americane in merito al diffondersi della ‘disinformazione’ sulle loro piattaforme”. Le grandi compagnie che operano nel campo dei social media avrebbero dato accesso agli ufficiali ad un “sistema di segnalazione accelerato”, oltre ad aver “declassato o rimosso i post segnalati” e “rimosso utenti”. Le piattaforme social avrebbero anche “cambiato le loro politiche interne per individuare più contenuti segnalati e inviato costantemente rapporti sulle loro attività di moderazione agli ufficiali”. Da quanto emerge, il governo Biden ha “costretto le piattaforme a prendere le loro decisioni di moderazione con messaggi intimidatori e minacce di conseguenze negative”. Tra le piattaforme coinvolte figurano anche i colossi Facebook, Twitter (ora X), YouTube e Google.
I giudici hanno rilevato che le pressioni della Casa Bianca hanno influenzato il modo in cui le piattaforme social hanno gestito i post sul Covid-19 nel 2021, questo con l’obiettivo di proporre una narrazione in linea con quanto sostenuto dall’amministrazione e spingere il pubblico a vaccinarsi.
Washington ha quindi condizionato impropriamente ed “in modo significativo le decisioni delle piattaforme, interferendo sui loro processi decisionali e in violazione del Primo Emendamento”. Questo sarebbe avvenuto non solo durante la pandemia da Covid-19, ma anche nel periodo delle elezioni congressuali del 2022: un duro colpo per l’amministrazione Biden, che si trova a dover fare i conti con la propria ingerenza nelle attività dei social media e dei mezzi di informazione proprio mentre le elezioni presidenziali del 2024 bussano alla porta.
M.M.