Il Digital Networks Act (DNA) rappresenta la risposta regolatoria della Commissione europea a un problema strutturale: la frammentazione del mercato delle telecomunicazioni. Il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche (CECE), attualmente in vigore, approvato nel 2018, è stato giudicato ormai inadatto a supportare le sfide tecnologiche e strategiche della nuova decade digitale.
La proposta del DNA, attesa entro la fine del 2025, prevede un superamento formale e sostanziale del CECE. L’obiettivo è duplice: rafforzare il mercato unico e promuovere nuovi investimenti, garantendo una base normativa comune in grado di rispondere alle trasformazioni tecnologiche, industriali e geopolitiche in atto.
Il piano si articola in sei direttrici principali. Primo: semplificazione. Il DNA mira a ridurre gli oneri burocratici per gli operatori, razionalizzando le norme e uniformando i processi autorizzativi in tutta l’Unione. Secondo: governance centralizzata. Si prevede un ruolo potenziato per organismi europei come BEREC e Radio Spectrum Policy Group, con più capacità di intervento vincolante, riducendo le disparità tra Stati membri.
Terzo: armonizzazione della regolazione d’accesso, con l’introduzione di un “prodotto pan-europeo” predefinito, per semplificare le condizioni e accelerare la transizione dalle vecchie infrastrutture in rame alla fibra. Quarto: revisione dello spettro radio, con licenze più lunghe, maggiore flessibilità e regole comuni per l’uso condiviso delle frequenze.
Quinto: integrazione della regolazione con la politica industriale. Il DNA adotta una visione che unisce competitività, efficienza e innovazione, rendendo esplicito il legame tra infrastrutture di rete, servizi digitali e sovranità tecnologica. Sesto: parità concorrenziale nell’ecosistema digitale. Il regolamento rilancia il concetto di level playing field tra operatori Telco e big tech, ovvero stesse opportunità e le stesse regole. Si valuta una possibile condivisione degli investimenti infrastrutturali, con meccanismi ispirati al principio del fair share, per garantire che i maggiori consumatori di banda contribuiscano economicamente allo sviluppo delle reti europee.
Il nuovo impianto non abbandona i principi fondanti di proporzionalità, neutralità, empowerment degli utenti, ma li reinterpreta in funzione delle sfide attuali. In gioco non c’è solo la riforma di un settore: c’è la possibilità per l’Europa di riprendere il controllo del proprio destino digitale.
A.C.
Diritto dell’informazione
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