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I confini della disinformazione e gli strumenti per arginarla

di Sara Rubinelli, Professore presso il Dipartimento di Scienze della Salute e Medicina, Università di Lucerna (Svizzera), e Presidente dell'International Association for Communication in Healthcare (EACH)

by Redazione
7 Maggio 2020
in Fake news
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I confini della disinformazione e gli strumenti per arginarla
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Questo intervento è incentrato sul tema della ‘disinformazione’. Il mio intento è di presentare una definizione del concetto di disinformazione che metta in luce le sue caratteristiche principali, e di offrire una tipologia che possa servire come spunto per l’identificazione, la gestione o la correzione di tale informazione. Preciso che quanto segue emerge dalla mia interpretazione personale del fine della comunicazione in generale, e che interpretazioni differenti possono dare adito a classificazioni diverse di ciò che è disinformazione.

SecondoGarzantiLinguistica, con il termine ‘disinformazione’ si intende la “scarsa o cattiva informazione”. Essa può essere prodotta e diffusa in modo intenzionale o meno, a seconda della consapevolezza del mittente.

La disinformazione, o cattiva informazione, viola la bontà della comunicazione in almeno due aspetti. Innanzitutto essa ostruisce il valore della comunicazione come strumento per dare informazioni finalizzate alle decisioni del destinatario. In altre parole, se invece di informare si disinforma – tenendo presente che l’informazione, pur non essendo l’unico fattore determinante, influenza il comportamento delle persone – si rischia di portare il destinatario alla decisione sbagliata. Per esempio, se in tempo di COVID-19 si convincono le persone che la patologia sia semplicemente un’influenza, esse potrebbero non seguire i comportamenti raccomandati dalle istituzioni sanitarie: un problema sia per la salute individuale che pubblica. Inoltre, la disinformazione, quando intenzionale, è uno strumento di comunicazione manipolatoria: si decide di dare un’informazione distorta per influenzare i destinatari a perseguire i propri interessi. Per esempio, si può presentare il punto di vista di un avversario in modo distorto affinché il pubblico non lo segua.

Di seguito presento cinque categorie, a mio avviso principali, di disinformazione.

1) L’informazione falsa, ovvero sostanzialmente non vera. Per esempio, si riportano numeri che non corrispondono alle statistiche ufficiali. L’informazione falsa è deleteria, ma si può facilmente scoprire consultando le fonti primarie. Per esempio, consultando le statistiche ufficiali si vede se i dati riportati da una certa fonte sono veri.

2) L’informazione selezionata. Sul tema di cui si parla, si dice qualcosa ma non tutto. Questo avviene quando il mittente ha una conoscenza frammentaria del tema e, dunque, presenta solo alcuni aspetti. Ma spesso succede che il mittente decida consapevolmente di dare solo una parte dell’informazione. Per esempio, si presenta un’idea o un progetto evidenziandone i punti di forza, ma i non i limiti. Si informa solo su quanto gioca a proprio favore o si presentano le informazioni estrapolandole dal contesto originale che ne dà il senso.

3) I proclami non argomentati. Si fanno proclamisenza dimostrarli, ovvero senza dare le ragioni per verificare se essi sono appropriati. Così, frasi quali ‘X sbaglia, Y ha ragione, C è giusto, D non è accettabile”, sono proclami non supportati da ragioni. Diverso è, invece, affermare che “C è giusto perché…”. Nel profferire quel ‘perché’, infatti, si permette al destinatario di valutare la sostenibilità del proclama, anche se può succedere che le ragioni date siano falseo non rilevanti.

4) Le opinioni generalizzate. Quanto emerge in tempo di COVID-19 è che, spesso,a parlare sono esperti che riportano valutazioni personali. Per esempio, un medico che parla di trattamenti è un esperto in medicina. Se quanto propone non è basato su uno studio scientifico, ma è un suo punto di vista personale – magari fondato sull’osservazione del suo ambiente di lavoro – non è generalizzabile. Ciò che è visto da un singolo, o anche da un gruppo di individui, non ha valore di evidenza scientifica se non viene supportato da studi validati dalla comunità di riferimento. Rientrano in questa categoria anche le opinioni di influencer che hanno un grande pubblico, ma non sono esperti della materia in questione. Tanti temi richiedono competenze specifiche per poter fare valutazioni e previsioni.

5) L’informazione fallace, caratterizzata dall’utilizzo delle cosiddette ‘fallacie’, ovvero errori di ragionamento che danneggiano la cogenza di un argomento. Di fallacie ne esistono molte, ma due sono particolarmente utilizzate. Nella fallacia nota come argomento ad hominemsi attacca il mittente come persona, invece di quanto afferma. Così si scredita la qualifica o altri aspetti della sua persona invece di spiegare perché il suo punto di vista è sbagliato. La fallacia nota comefalsa causa presenta come causa di qualcosa ciò che è solo correlato. Tante teorie del complotto giocano spesso su tale fallacia e presentano concatenazioni di eventi che sono, in realtà, co-esistenti ma indipendenti tra loro.

In conclusione, come gestire e limitare la disinformazione, e a chi spetti questo compito richiede trattazioni separate. Certo è che in un regime democratico la libertà di informazione non può non avere quei filtri che permettano di determinarne la qualità. Da tale libertà non deriva, infatti, che ogni punto di vista sia giusto.In ambito scientifico la cosiddetta ‘revisione paritaria’ (in inglese peerreview) valuta quale studio meriti o non meriti la pubblicazione. Come mostra la tipologia presentata sopra, per creare criteri di informazione pubblica non è sufficiente definire cosa sia vero o falso. Il processo di valutazione della disinformazione è più articolato, ma nelle scienze della comunicazione e dell’informazione ci sono tante linee guida su come arrivare a tali criteri. E questo è positivo, nonché un auspicio a continuare la discussione su questi temi in modo concreto.

 

Tags: Fake newsInternational Association for Communication in Healthcare (EACH)Sara RubinelliUniversità di Lucerna (Svizzera)

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