L’attuale scenario giuridico non può ignorare l’urgenza di stabilire una solida protezione dei diritti dei pazienti oncologici, una questione che richiede un’immediata attenzione. Nonostante il disegno di legge n.2548 del 2022 fosse stato depositato presso il Senato nella precedente legislatura, non si è poi proceduto alla sua calendarizzazione in commissione di giustizia per la successiva discussione parlamentare.
La proposta, presentata dal Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel), sorge in risposta alle istanze delle associazioni oncologiche e ad una massiccia raccolta firme, con oltre 100.000 sostenitori, promossa dalla Fondazione Aiom, l’Associazione Italiana di Oncologia Medica, tramite la significativa campagna di comunicazione “IO NON SONO IL MIO TUMORE”. L’obiettivo di tale normativa è garantire che i soggetti colpiti da patologie oncologiche non siano soggetti a discriminazioni nell’accesso di adozione di minori, servizi bancari, assicurativi, a condizione che siano trascorsi almeno 10 anni senza recidive.
È necessario sollecitare nuovamente gli esponenti politici affinchè sia promulgata questa normativa, che tutela il diritto delle persone affette da patologie oncologiche a non subire discriminazione nell’ambito della loro vita sociale, professionale e finanziaria. È inammissibile che, nonostante la guarigione, coloro che hanno dichiarato di aver sconfitto il cancro siano ancora soggetti al rifiuto da parte di istituti bancari e compagnie assicurative e si trovino ad affrontare ostacoli nell’ambito lavorativo.
In Italia, circa 3,6 milioni di individui hanno ricevuto una diagnosi di cancro, e di questi un milione, pari al 27%, può considerarsi guarito. Tuttavia, secondo Aiom, molti di questi individui, che sono o saranno vittime di discriminazioni, desidereranno unicamente riacquisire il pieno possesso delle proprie vite, a distanza di anni dalla malattia, senza che essa venga ricordata in maniera inopportuna e indesiderata.
Coloro che hanno avuto la fortuna di sconfiggere il cancro non dimenticano mai l’esperienza vissuta, che diviene parte integrante della loro esistenza. Le persone guarite aspirano a conservare la riservatezza della propria esperienza personale, senza che diventi di dominio pubblico o un ostacolo al ritorno ad una normale vita sociale.
Questi individui possono portare cicatrici fisiche e ferite emotive, ma non devono essere stigmatizzati. Desiderano solamente reintegrarsi come membri a pieno titolo nella società, dunque la malattia, una volta superata, non dovrebbe generare divisioni tra i cittadini o impedire il pieno sviluppo della propria individualità.
(F.S.)