Gli influencer sono persone che si sono create un seguito sui social (in particolare YouTube ed Instagram) tale da poter influenzare le scelte consumistiche dei loro followers su un determinato prodotto o servizio.
La metrica che si utilizza è il numero di followers: più alto è il numero e più alto è il rating dell’influencer e, di conseguenza, il compenso che le aziende sono disposte a pagare perché questi creino un post, decantando le lodi del loro prodotto o servizio.
Non mancano, dunque, le regole da seguire per svolgere tale attività.
In primo luogo, l’attività di influencer viene svolta come attività di lavoro autonomo e, quindi, con Partita IVA e con iscrizione obbligatoria agli enti di previdenza preposti.
In questa prospettiva, l’influencer è inquadrabile come un lavoratore autonomo, che effettua delle campagne di marketing per aziende terze dietro il corrispettivo di un prezzo.
In quest’ottica l’influencer si pone come professionista che promuove beni o servizi altrui nei confronti di consumatori finali e, per tale ragione, si applicano in quanto compatibili le norme del Codice del consumo.
Secondo il Codice del consumo, (D.Lgs. n. 206/2005, art. 22 e 23) la pubblicità non è trasparente quando si occulta la natura promozionale di un messaggio. Il messaggio, dunque, sembra spontaneo, informativo o, comunque, neutrale e invece non lo è.
Il semplice fatto di sapere che un influencer sia stato pagato per indossare un abito o per utilizzare uno specifico prodotto, ovviamente, condiziona il giudizio del consumatore su quel prodotto. Viceversa, pensare che il prodotto sia stato scelto spontaneamente dall’influencer porterà il consumatore a venirne influenzato maggiormente.
Tale fattispecie è qualificata come pratica scorretta e detta pubblicità occulta. La pubblicità occulta non rende esplicita la finalità promozionale delle dichiarazioni dell’influencer e induce il consumatore nell’errore perché ha il potere di influenzare inconsapevolmente i consumatori nella scelta di un prodotto o nel giudizio su un brand, inoltre, se utilizzata sul web come canale divulgativo è in grado di raggiungere una vasta platea di persone. Ed è ancora più efficace se fatta da personaggi che hanno online un largo seguito di followers, spesso adolescenti.
Il “Digital Chart” predisposto dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) contiene delle norme specifiche proprio per le Celebrity, gli Influencer, i Blogger ed i Vlogger con indicazioni più stringenti per chi diffonde contenuti pubblicitari online.
Se l’influencer commenta sui propri canali social, Blog o canale YouTube un prodotto che ha acquistato di tasca propria, che ha provato e che ha trovato valido, può parlarne tranquillamente ai propri followers senza che siano applicabili regole particolari, perché un’attività di tal genere è ricompresa nel generale diritto di libertà di manifestare il proprio pensiero, senza bisogno di ricorrere ad alcun accorgimento.
Se, invece, l’influencer viene pagata per proporre, promuovere e sponsorizzare un determinato prodotto o servizio da parte dell’azienda che lo produce o lo commercializza, allora entrano in gioco delle regole da seguire, perché questa ipotesi rientra in pieno tra i casi che sono oggetto di regolamentazione.
Così celebrity/influencer/blogger, per rendere riconoscibile la natura promozionale dei contenuti postati sui social media e sui siti di content sharing devono inserire in modo ben distinguibile entro i primi tre hashtag (#) una delle seguenti diciture:
- “#Pubblicità o #Advertising”,
- “#Sponsorizzato” o #Sponsored”
- “#adv” “#brand””
alle quali far sempre seguire il nome del marchio.
Mentre nel caso in cui, invece, il rapporto fra celebrity/influencer/blogger e inserzionista si limiti all’invio occasionale da parte dell’inserzionista dei propri prodotti gratuitamente o per un modico valore, e la celebrity/influencer/blogger li citi, li utilizzi o li mostri nei propri post dovrà essere inserito soltanto un disclaimer ben leggibile, come: “prodotto inviato da” seguito dal nome del brand.
Occorre quindi seguire un criterio di massima trasparenza con i propri followers, spiegando in modo chiaro e facilmente comprensibile la natura della comunicazione contenuta in un post, in un articolo o in un video dove si parla di un prodotto o di un servizio.
Per questo motivo laddove siano accertate delle violazioni, sono necessarie delle sanzioni.
L’Autorità, se ritiene la pubblicità ingannevole o il messaggio di pubblicità comparativa illecito, vieta la diffusione, qualora non ancora portata a conoscenza del pubblico, o la continuazione, qualora sia già iniziata. […] (art. 8.8 Decreto Legislativo 2 agosto 2007, n. 145 – Pubblicità ingannevole).
Non solo, con il provvedimento che vieta la diffusione della pubblicità, l’Autorità dispone inoltre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000,00 euro a 500.000,00 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione.
Nel caso di pubblicità che possono comportare un pericolo per la salute o la sicurezza, nonché suscettibili di raggiungere, direttamente o indirettamente, minori o adolescenti, la sanzione non può essere inferiore a 50.000,00 euro. (art. 8.9 Decreto Legislativo 2 agosto 2007, n. 145 – Pubblicità ingannevole).
Ogni anno, Buzzole, azienda che si occupa di influencer marketing, fornisce un report sullo stato della trasparenza in Italia. Nel 2020, in Italia, sono stati prodotti oltre 186.000 post trasparenti in ambito di influencer marketing, il 5% in meno rispetto all’anno precedente, calo riconducibile alla pandemia che ha spinto alcuni specifici settori a diminuire gli investimenti in comunicazione.
L’analisi dei settori che più hanno usato gli hashtag della trasparenza sono: al primo posto la moda (abbigliamento e calzature, anche sportive) che si riconferma l’industria più attenta alle regole con il 34% dei post prodotti. Al secondo la cosmetica (prodotti per la cura del corpo) con il 16%. Il terzo posto è occupato dalla tecnologia (elettronica di consumo), protagonista del 9% dei post prodotti. A seguire il mondo dell’intrattenimento (tv, gaming) con il 7,6% dei post, gli accessori (borse, orologi e gioielli) con il 7,5%, il beverage con il 7,5% e il food con il 6,5%.