Lunedì un giudice federale di Manhattan ha assistito ad una discussione tra quattro importanti editori di libri i quali sostengono che Internet Archive, fondata da Brewster Kahale, sta violando la legge sul copyright digitalizzando i libri in suo possesso, rendendola un modello no profit di biblioteca digitale gratuita e accessibile a chiunque.
Da molti anni, Internet Archive non tiene solo traccia di miliardi di pagine Web tramite la Wayback Machine ma anche di oltre 37 milioni di volumi scansionati autonomamente dalle biblioteche che aderiscono al progetto per alimentare la Open Library.
Questi volumi vengono concessi digitalmente in prestito secondo lo schema uno a uno, anche noto come own to loan, il meccanismo di una biblioteca tradizionale potenziato dalla possibilità di un volume trasformato in ebook.
The Internet Archive lo fa in autonomia e col network di biblioteche che aderiscono alla piattaforma, rifiutando l’acquisto di licenze temporanee per gli ebook proposte dagli editori ma scansionando copie fisiche trasformate in libri da consultare digitalmente.
Si tratta di un lavoro sempre al limite del copyright statunitense: per questo gli editori, approfittando dell’iniziativa lanciata durante la pandemia (National Emergency Library), vogliono bloccare la storica piattaforma. Quest’iniziativa sospese per tre mesi il principio dell’own to loan, consentendo a un numero illimitato di persone di accedere a ciascun ebook disponibile con un periodo di prestito di due settimane.
È stato chiamato un giudice a decidere se si tratti di un uso corretto di quei contenuti o se quel sistema costituisca invece una violazione del copyright e dunque di “pirateria digitale internazionale”. Il legale della piattaforma ha insistito sul fatto che i colossi dell’editoria non siano in grado di quantificare se e quanto il lavoro di Internet Archive causi loro danni in termini economici.
L’esperta McNamara ha fatto notare che molte biblioteche pagano le licenze agli editori per poter prestare legalmente gli ebook, sostenendo che proprio quello è il mercato che Internet Archive finisce per minacciare con le sue pratiche. Spetta insomma alla piattaforma provare a dimostrare che non è così. Se il giudice la riterrà responsabile potrebbe dover chiudere la Open Library e cancellare dai server le copie accumulate negli anni e prestate a milioni di persone.
The Internet Archive lo ha fatto, sostenendo che il prestito digitale rientra nella fattispecie del cosiddetto fair use, vale a dire nella facoltà di utilizzare materiale protetto da copyright per scopi d’informazione, critica o insegnamento, senza chiedere l’autorizzazione scritta a chi detiene i diritti.
Si tratterebbe di un fair use trasformativo, perché vengono effettuate copie di libri fisici al fine di migliorare l’efficienza del prestito senza violare i diritti degli editori o degli autori.
(V.M)
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