Dopo quasi tre anni di negoziati conflittuali, la neo riforma europea sul copyright, approvata il 26 marzo 2019 nella sua forma definitiva, si presenta come una svolta rivoluzionaria nell’ambito della protezione del diritto d’autore nell’era digitale: essa si pone l’obiettivo da un lato di assicurare una giusta remunerazione per artisti, editori, giornalisti e produttori di contenuti creativi in generale, nel momento in cui diffondono le loro opere in rete, dall’altro di garantire la libertà di espressione e innovazione. La riforma annovera, inoltre, delle eccezioni, quali ad esempio i servizi che agiscono con scopo non commerciale come le enciclopedie online, le attività di text and data mining, le attività nell’ambito dei programmi educativi e delle istituzioni culturali come musei e librerie.
Uno dei punti più rilevanti e controversi dell’intera direttiva è senz’altro l’art. 17, unitamente all’art.15. Tali articoli, infatti, costituiscono di fatto le versioni aggiornate dei già contestati ex artt. 11 e 13.
L’art. 17 regolamenta l’utilizzo di contenuti protetti da parte di piattaforme informatiche specializzate come Google, Facebook o Pinterest. Queste creano profitti “copyright free” (il cosiddetto “value gap”) grazie ai file caricati dai propri utenti.
Esso statuisce che «il prestatore di servizi di condivisione di contenuti online effettua un atto di comunicazione al pubblico o un atto di messa a disposizione del pubblico ai fini della presente direttiva quando concede l’accesso al pubblico a opere protette dal diritto d’autore o altri materiali protetti caricati dai suoi utenti. Un prestatore di servizi di condivisione di contenuti online deve pertanto ottenere un’autorizzazione dai titolari dei diritti […], ad esempio mediante la conclusione di un accordo di licenza, al fine di comunicare al pubblico o rendere disponibili al pubblico opere o altri materiali» (art. 17). Tale articolo stabilisce, dunque, che qualora un contenuto creativo protetto da copyright sia caricato senza una licenza, le piattaforme online dovranno rispondere dell’accusa di violazione del diritto d’autore o dei diritti connessi a meno che non dimostrino di «aver compiuto i massimi sforzi per ottenere un’autorizzazione» o «aver agito tempestivamente» (art.17) per disattivare l’accesso ad altri utenti o impedirlo in futuro.
Questo articolo obbliga, inoltre, le grandi piattaforme del web a installare sistemi di controllo per bloccare la condivisione di contenuti protetti e sui quali gli utenti non detengono diritti: dei veri e propri filtri basati su algoritmi estremamente complessi e pertanto estremamente onerosi il cui costo logicamente non può essere sostenuto dalle società di piccole o medie dimensioni. La norma, infatti, raggiunge un compromesso: si rivolge unicamente alle aziende di grosse dimensioni, i giganti multimiliardari della new tech, come Google, Facebook e Youtube, escludendo le start up e le società che fatturano meno di 10 milioni di euro. Le piattaforme di condivisione avranno così l’obbligo di impegnarsi a rimuovere tutti i contenuti illeciti, nonché a prevenirne la loro eventuale pubblicazione futura. Questo articolo attribuisce una volta per tutte una responsabilità in capo alle piattaforme, costrette ora a verificare la legalità del materiale che pubblicano e condividono.
Tale articolo stabilisce, infine, che diverranno obbligatori anche meccanismi di reclamo, gestiti da persone e non da algoritmi, che consentiranno agli aventi diritto di presentar ricorso contro un’ingiusta cancellazione di un contenuto:
Gli Stati membri dispongono che i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online istituiscano un meccanismo di reclamo e ricorso celere ed efficace che sia disponibile agli utenti dei loro servizi in caso di controversie in merito alla disabilitazione dell’accesso a, o alla rimozione di, specifiche opere o altri materiali da essi caricati. Se i titolari dei diritti chiedono di accedere a loro specifiche opere o altri materiali che siano stati disabilitati o a tali opere o altri materiali che siano stati rimossi, essi devono indicare debitamente i motivi della richiesta. I reclami presentati nell’ambito del meccanismo di cui al primo comma sono trattati senza indebito ritardo e le decisioni volte a disabilitare l’accesso o a rimuovere i contenuti caricati sono soggette a verifica umana. Gli Stati membri garantiscono altresì che meccanismi di ricorso stragiudiziale siano disponibili per la risoluzione delle controversie. Tali meccanismi consentono una risoluzione imparziale delle controversie e non privano l’utente della protezione giuridica offerta dal diritto nazionale, fatto salvo il diritto degli utenti di avvalersi di mezzi di ricorso giurisdizionali efficaci. In particolare, gli Stati membri provvedono a che gli utenti abbiano accesso a un giudice o un’altra autorità giudiziaria competente per far valere l’applicazione di un’eccezione o di una limitazione al diritto d’autore e ai diritti connessi. La presente direttiva non incide in alcun modo sugli utilizzi legittimi, quali quelli oggetto delle eccezioni o limitazioni previste dal diritto dell’Unione, e non comporta l’identificazione dei singoli utenti né il trattamento dei dati personali, salvo conformemente alla direttiva 2002/58/CE e al Regolamento (UE) 2016/679. I prestatori di servizi di condivisione di contenuti online informano i loro utenti, nei loro termini e condizioni, della possibilità di utilizzare opere e altri materiali conformemente alle eccezioni o limitazioni al diritto d’autore e ai diritti connessi previste dal diritto dell’Unione.
Questo è il punto focale dell’intero articolo, che di fatto va a modificare l’attuale normativa comunitaria. Attualmente la direttiva e-commerce prevede un’esenzione da responsabilità per i providers di hosting: i fornitori di servizio, con riferimento ai contenuti immessi dai loro utenti, non sono, secondo la direttiva, responsabili delle informazioni trattate a patto che non intervengano sul contenuto o sullo svolgimento delle operazioni sui contenuti. La normativa europea sull’e-commerce, inoltre, vieta anche un monitoraggio generalizzato dei contenuti immessi dagli utenti. Il problema è dato dal fatto che un provider deve necessariamente svolgere alcune operazioni sulle informazioni trattate, altrimenti non potrebbe operare su di esse ed instradarle o ospitarle. Per cui spetta, in ultima battuta, al giudice nazionale stabilire se l’operazione posta in essere è una mera operazione tecnica (quindi consentita) oppure vi è l’intenzione di influire sulle informazioni: in questo caso scatta la responsabilità del provider (in solido con l’utente, autore dell’illecito), in quanto esso mostra di voler fare proprio il contenuto. Se fino ad oggi il provider aveva una responsabilità secondaria, con questa nuova direttiva sul copyright e in particolare con l’art. 17, il provider ne risponde in prima persona come se la condotta fosse stata da lui posta in essere. A tal proposito, va ricordato che stiamo parlando dell’immissione del contenuto sui server che in realtà è operazione compiuta dall’utente, e che è tecnicamente un atto di comunicazione al pubblico. Quindi la direttiva addossa anche al provider la responsabilità di un atto di comunicazione al pubblico tecnicamente posto in essere dall’utente. E per un atto di comunicazione al pubblico occorre l’autorizzazione del titolare dei diritti.