«Oggi è un giorno davvero molto triste per l’informazione professionale. La diffusione del video del malato deceduto al Cardarelli di Napoli è uno dei punti più bassi toccati dal giornalismo durante la pandemia. La direzione di quell’ospedale ha avviato un’indagine interna per stabilire le cause del decesso e individuare chi abbia girato il video. Ma non basta. Occorre una indignazione ferma e decisa da parte dei vertici nazionali dell’Ordine dei giornalisti nei confronti di tutti gli iscritti che lo hanno diffuso e condiviso. Si tratta di una grave violazione deontologica e di un imperdonabile vulnus alla dignità della persona, che l’informazione di qualità deve rispettare in maniera prioritaria, inderogabile e senza tentennamenti». Lo ha dichiarato il professor Ruben Razzante, Docente di Diritto dell’informazione e di Diritto della comunicazione per le imprese e i media all’Università Cattolica di Milano, che è intervenuto oggi al convegno di apertura del Festival di giornalismo digitale Glocal 2020 dal titolo “Emergenza Covid: le fonti, le testimonianze, le fake news” (corso dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, con crediti formativi).
Si tratta di un episodio molto grave che richiama le responsabilità del giornalismo in questa seconda fase di pandemia. «A marzo e aprile -ha aggiunto il professor Razzante- i giornalisti sono stati autentici missionari della verità. Hanno raccontato la pandemia dai luoghi della sofferenza e del contagio, consentendo ai cittadini di essere correttamente informati e di evitare comportamenti inopportuni e dannosi per la salute. Dopo la prima ondata, però, sembra essersi appannato l’ideale dell’informazione di pubblica utilità. Da settembre in poi il sensazionalismo è diventato dilagante nell’informazione mainstream e i giornalisti sono apparsi in molti casi megafoni acritici di opinioni altrui».
«In nome della “divinizzazione” della scienza e della assolutizzazione del diritto alla salute -ha aggiunto Razzante- alcuni giornalisti hanno deciso di partecipare come spettatori passivi al Festival della virologia a reti unificate, limitandosi a registrare opinioni, chiacchiere, annunci e bisbigli e appiattendosi su protocolli e rappresentazioni puramente quantitative del fenomeno Covid. Occorre al più presto riscoprire i valori della verifica e della comparazione dei dati, del vaglio critico e pluralista delle fonti e dell’autonomia e dell’equilibrio del racconto, elementi imprescindibili della buona informazione rispettosa della deontologia professionale».
Il professor Razzante, che è anche membro esperto della task force anti-fake news del Governo e docente di deontologia ai corsi di formazione per i giornalisti, ha esortato questi ultimi a non rimanere in superficie e a recuperare il piglio del giornalismo d’inchiesta: «Nelle ultime settimane ho letto pochissime ricostruzioni puntuali dell’andamento della pandemia, nessun reportage sui farmaci anti-covid utilizzati da migliaia di medici per curare a casa i malati di Covid, nessun approfondimento sugli anticorpi monoclonali, nessuna illustrazione dei famosi 21 parametri che le autorità sanitarie hanno deciso di adottare per stabilire le restrizioni nelle diverse aree del Paese. L’ufficiale contabilità quotidiana di contagi, ricoveri e decessi è fuorviante perché fotografa solo in parte l’evoluzione del Covid e non consente raffronti, comparazioni, analisi dettagliate dei profili dei positivi al virus, che quasi mai sono malati, dei ricoverati in ospedale e delle vittime di queste settimane, in larghissima parte affette da almeno tre patologie e con età superiore agli 80 anni, come documentato dall’Istituto superiore della sanità. Una grande operazione di verità e trasparenza dovrebbe partire dalle istituzioni politiche centrali e coinvolgere regioni ed enti locali. L’informazione, come cane da guardia, avrebbe dovuto propiziarla, invece continua ad andare a rimorchio degli eventi e ad alimentare un allarmismo devastante per la psiche delle persone e per la tenuta della società e delle istituzioni».
«Legittimo, beninteso, essere preoccupati della situazione che si è creata. La facile contagiosità del virus, molto più che la sua letalità, preoccupa gli italiani, che si chiedono quando finirà tutto questo. Ma il ruolo dei media non è quello di alimentare pulsioni disfattiste e autodistruttive, né di legittimare comportamenti lassisti e di disimpegno rispetto alle norme dettate a protezione della nostra salute», ha concluso il professor Razzante.