Come emerso dallo studio di We Are Social passiamo meno tempo online rispetto all’anno scorso (-15 minuti), ma un po’ più tempo sui social (+1 minuto). Non cambiano però le motivazioni che ci spingono a cercare l’accesso al mondo online: cercare informazioni, sia in senso generale (72%) sia per rimanere aggiornati sugli eventi correnti (65%) sia per how-to (59%) rimangono le principali.
In Italia sono quasi 44 milioni le persone ad essere attive sui social, una penetrazione che si avvicina al 75%. In media ogni giorno passiamo 5h55min su internet e 1h48min sui social media.
Numeri di questo tipo fanno preoccupare, soprattutto quando pensiamo all’utilizzo che ne fanno i giovani e agli effetti, soprattutto quelli a lungo termine, ancora in parte non noti, che potrebbero avere.
Molti studi infatti hanno indagato gli effetti (positivi e dannosi) prodotti dai social media per la salute mentale e il benessere dei giovani. Come sempre accade, però, i social media non dovrebbero essere considerati a priori un bene o un male: la loro funzione è neutra e adattabile ai concreti utilizzi cui sono destinati.
Pur senza disconoscersi del tutto i benefici comunque esistenti con l’avvento di Internet e dei social media, prende forma “l’era digitale della vulnerabilità” – secondo il termine coniato da una ricerca di settore – per descrivere gli effetti “tossici” che le piattaforme sociali provocano sulla salute mentale dei giovani, stimolando il rilascio di dopamina che funge, come “una sostanza chimica del benessere”, da neurotrasmettitore per creare una dipendenza continua (addirittura paragonabile a quella provocata da alcol e sigarette).
Ne consegue che, oltre all’incremento esponenziale dei comuni sintomi di ansia e depressione, talvolta si manifestano anche più violenti atteggiamenti di aggressività o offensività nei contenuti condivisi online, ulteriormente inficiati da una percezione distopica di immagini modificate dai numerosi filtri disponibili in grado di alterare la realtà rispetto alla fittizia apparenza riflessa in rete.
Waytz & Gray (2018) hanno proposto un framework che spiega come le tecnologie possono allo stesso tempo ostacolare e favorire le relazioni sociali e il benessere psicologico degli individui.
Secondo gli autori, le tecnologie possono avere un impatto positivo quando rafforzano delle relazioni faccia-a-faccia già esistenti (es. gruppi WhatsApp in cui parliamo con amici e amiche) oppure quando consentono legami altrimenti impossibili (es. le connessioni in pandemia oppure per persone che non possono muoversi da casa). Al contrario, tendono a ostacolare le relazioni quando allontanano le persone dai legami faccia-a-faccia profondi, in favore di relazioni online superficiali (es. quando usiamo il telefono per guardare delle storie su Instagram invece di conversare con i nostri commensali).
In altre parole, i social media non dovrebbero essere considerati a priori un bene o un male, ma assumono una funzione neutra adattabile ai concreti utilizzi cui sono di fatto destinati, senza dimenticare che, in ogni caso, tali piattaforme possono comunque realizzare indubbi effetti positivi, grazie alle maggiori opportunità di condivisione informativa che offrono per esprimere idee e confrontarsi liberamente, purché ciò avvenga sempre in modo pacifico e costruttivo.
Insomma, le tecnologie non sono intrinsecamente buone o cattive per le nostre relazioni e il nostro benessere, ma è fondamentale utilizzarle in modo consapevole in modo tale che siano una risorsa e non una minaccia.