Il tema del diritto all’oblio ha conquistato l’interesse di molte persone negli ultimi anni. In questo articolo si spiegherà in che cosa consiste, analizzando le vicende chiave che hanno coinvolto anche personaggi sportivi.
Cos’è il diritto all’oblio
Il diritto all’oblio è una nozione giuridica che permette agli individui di rimuovere o deindicizzare informazioni personali dai motori di ricerca o siti web. Questo diritto si basa sull’idea che una persona non debba essere legata in maniera indelebile a episodi del proprio passato, in modo particolare se non sono più rilevanti o se possono in qualche modo nuocere alla sua vita privata o professionale. Il diritto all’oblio ha acquisito sempre più importanza nel corso dell’era digitale, perché le informazioni restano facilmente accessibili online e possono avere un impatto permanente sulla reputazione di un individuo.
Negli ultimi anni, Internet e i motori di ricerca come Google sono molto pervasivi, poiché rendono facilmente raggiungibili a tutti informazioni riguardanti qualsiasi cosa o persona. Ciò ha portato alla necessità di bilanciare due diritti fondamentali: la protezione della privacy e il diritto di informarsi. Da un lato, il diritto di cronaca e la libertà di espressione consentono la pubblicazione di notizie, dall’altro è importante tutelare l’immagine di persone danneggiate da contenuti che non sono più pertinenti.
Nel 2018, all’interno dell’Unione Europea è entrato in vigore il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), ovvero la normativa che regola il trattamento dei dati e, di conseguenza, il diritto all’oblio. In particolare, l’articolo 17 del GDPR riconosce formalmente questo diritto e prevede la cancellazione dei propri dati personali quando non sono più necessari per gli scopi per cui erano stati raccolti, quando sono stati trattati illegalmente o quando la persona revoca il consenso al trattamento. Tuttavia, il diritto all’oblio non è assoluto: deve essere valutato caso per caso, equilibrando la richiesta del soggetto con l’interesse pubblico a cercare determinate informazioni, specialmente quando sono coinvolti personaggi pubblici.
Il caso Gonzàlez
Prima di analizzare i casi che hanno coinvolto sportivi, è necessario citare la vicenda di Mario Costeja Gonzàlez. Nel 2014, Gonzàlez, un cittadino spagnolo, aveva scoperto che cercando il proprio nome su Google, tra i risultati apparivano articoli di un quotidiano (La Vanguardia) del 1988, che riportavano un avviso di un’asta immobiliare forzata per il recupero debiti. La questione riguardava una procedura di pignoramento per debiti sociali, ormai risolta e superata da molto tempo. Gonzàlez riteneva che l’informazione non fosse più rilevante e che la sua presenza nei risultati di ricerca recasse danni alla sua immagine. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha accolto la sua richiesta, stabilendo che i motori di ricerca sono responsabili del trattamento dei dati personali e che gli individui hanno il diritto di chiedere la deindicizzazione delle informazioni che li riguardano, se queste non sono più rilevanti nel corso del tempo. Questa sentenza ha sancito la possibilità per i cittadini europei di chiedere la rimozione di dati obsoleti e lesivi, creando un precedente che ha modellato le successive applicazioni al diritto all’oblio.
Pessotto e Schwazer
Anche nel mondo dello sport alcuni personaggi hanno cercato di avvalersi di questo diritto per proteggere la propria reputazione. Tra questi, il caso di Gianluca Pessotto è emblematico. Ex calciatore della Juventus e dirigente sportivo, Pessotto ha richiesto la rimozione di contenuti legati ad un suo tentativo di suicidio risalente al 2006. Nonostante il tempo trascorso e la volontà di lasciare quella vicenda alle spalle, la presenza di articoli che ne parlavano cresceva e continuava a generare interesse mediatico, generando non pochi problemi nella sua vita privata e lavorativa.
Nel 2021, la Corte di cassazione italiana ha emesso una sentenza che respingeva la richiesta di Pessotto di rimozione degli articoli dai motori di ricerca. La Corte ha stabilito che, nonostante il diritto all’oblio sia un diritto riconosciuto, esso deve essere bilanciato con il diritto di cronaca e il diritto del pubblico all’informazione.
La Corte ha considerato che il fatto di cui si parlava nei vari articoli era stato di rilevante interesse pubblico all’epoca, e che, trattandosi di un personaggio pubblico, l’episodio rientrava nell’ambito del diritto di cronaca. Secondo la sentenza, la presenza di tali articoli nei risultati di ricerca non costituiva una violazione della sua privacy, dal momento che non era stata dimostrata l’attualità di un danno alla sua persona.
Un altro esempio significativo è quello di Alex Schwazer, marciatore italiano squalificato per doping in due occasioni. La prima risale al 2012, poco prima delle Olimpiadi di Londra, quando fu trovato positivo all’EPO (L’eritropoietina è un ormone proprio dell’organismo prodotto nei reni, che stimola la produzione dei globuli rossi (eritrociti) nel midollo osseo. L’effetto finale è quello di indurre un aumento della resistenza allo sforzo e una ripresa più rapida, ndr) e squalificato per 3 anni e 6 mesi. Il secondo episodio avvenne nel 2016, quando risultò di nuovo positivo a un controllo antidoping, mentre stava cercando di rilanciare la sua carriera. Questo episodio però portò a una squalifica di 8 anni, mettendo fina alla sua carriera agonistica.
Successivamente, Schwazer ha sostenuto la sua innocenza riguardo al secondo caso, affermando che i campioni di urine sarebbero stati manipolati. Nel 2021, il Tribunale di Bolzano ha archiviato il procedimento penale a suo carico per doping, dichiarando che ci fossero prove a supporto della tesi di manipolazione dei campioni, ma la squalifica sportiva rimaneva valida per via delle decisioni precedenti prese dalla giustizia sportiva internazionale.
Nel 2022, Schwazer ha presentato una richiesta per l’esercizio del diritto all’oblio nei confronti dei motori di ricerca. L’atleta chiedeva la rimozione di articoli e contenuti che si riferivano ai suoi casi di doping, in particolare dopo che il Tribunale di Bolzano aveva stabilito che nel 2016 c’era stata una manipolazione dei campioni.
Nel 2023, il Garante per la protezione dei dati personali (l’autorità italiana competente in materia di privacy) ha accolto parzialmente la richiesta di Schwazer. Il Garante ha riconosciuto che alcune delle informazioni presenti nei risultati di ricerca relativi ai casi di doping erano diventate obsolete e che la sentenza di archiviazione del Tribunale di Bolzano aveva cambiato la percezione pubblica della vicenda.
Tuttavia, il Garante ha deciso di non concedere la rimozione totale di tutti i link relativi ai suoi casi di doping, in quanto si trattava comunque di informazioni che avevano avuto un rilevante impatto mediatico e pubblico. La decisione ha stabilito che dovessero essere rimossi solo i link a contenuti che non riflettevano in modo aggiornato gli sviluppi successivi della vicenda, come quelli che non menzionavano la sentenza del Tribunale di Bolzano.
Dopo la fine della squalifica, l’atleta ha cercato di far rimuovere notizie legate ai suoi errori passati, per poter ripulire la sua immagine e ricominciare la carriera senza il peso di vicende pregresse, continuamente riportate dai media. Il suo caso è stato particolarmente complesso, poiché trattandosi di un atleta con un profilo alto coinvolto in un episodio di interesse pubblico, le richieste di rimozione sono state analizzate con molta attenzione.
In conclusione, il diritto all’oblio rappresenta una tutela importante per la privacy e la dignità delle persone, ma la sua applicazione è complessa e deve tenere conto di diverse variabili.
A.L.