La speranza non è soltanto un nome o un cognome, ma uno stile di vita dell’oggi. Non è il pensare al domani come un tempo migliore, disprezzando il presente noioso e ripetitivo. Non è l’attesa disperata di un tempo che non verrà mai, ma un progetto di vita che si realizza e si evolve in ogni ora dell’oggi. Non è leggere sulla tela del tempo sogni, aspirazioni e desideri per domani, ma per l’ora successiva della stessa giornata. La comprensione della speranza si vive e si alimenta nel quotidiano. E’ una strada stretta, che non significa una visione egoistica della vita, attuata secondo il detto popolare, ognuno fa per sé, ma una vita vissuta all’insegna di azioni efficaci, di cui si esaminano attentamente le conseguenze. Ovviamente gli errori sono possibili, ma anche quelli si possono utilizzare in senso positivo, ricorrendo alla richiesta delle scuse, al perdono e alla comprensione. Si diventa peggiori soltanto dinanzi al pensiero ossessivo che tutti gli altri sono cattivi e noi soltanto siamo perfetti.
Il disegno che Dio ha per ciascuno di noi è legato al periodo della vita terrena e a quello della vita eterna, che si concretizza in un incontro gioioso e definitivo con Lui. In tal modo il Cielo e la terra si incontrano, la fede nel Cristo risorto acquista un senso speciale. Qualcuno obietta su tale visione e la ritiene immaginaria, non realistica. Provo a rispondere con tre stili di vita, che non si pongono l’interrogativo perché vivere. Primo: -vivere alla giornata senza porsi dei perché. Secondo: – non avere un progetto di vita. Terzo: affidarsi al presunto destino. Proviamo ad applicare gli stessi interrogativi alla nostra società italiana attuale, che vive con fatica la possibilità di uscire dalla pandemia mondiale. A tale scopo dovremmo operare una modesta analisi sociale su tutto quello che è successo dalla fine del 2019 a tutto il 2020. Ci siamo trovati del tutto impreparati, ma qualche piccolo elemento si poteva apprendere dalle antiche pandemie, da quella del primo secolo avanti Cristo, descritta da Lucrezio nel De rerum natura, del 1300 da Boccaccio, del 1600 da Manzoni. Ritornando a quei secoli passati, qualche sorriso è nato dal paragone tra le Grida secentesche del Governatore di Milano e l’acronimo dpcm. Più utile sarebbe stato, a titolo di curiosità, forse approfondire alcuni espedienti adottati nel 1300 per curare i malati, come i trasferimenti dalle città nei pagliai delle campagne.
In ogni caso, un’analisi sociale sui fatti accaduti dalla fine del 2019 a tutto il 2020, sarebbe necessaria. Quelli della nostra generazione ricordano con molta chiarezza che cosa è successo nel 1943 e nel 1957. La guerra, in alcune zone d’Italia, ci ha costretto a rifugiarci per mesi nelle grotte scavate nelle “ripe”, a mangiare fagioli crudi in ammollo con vermi. L’epidemia dell’Asiatica del 1957 provocò febbre e attacchi scomposti al sistema nervoso. Allora i medici, nominati dai Comuni, periodicamente si recavano nelle case per osservare i pazienti e curarli con i mezzi del tempo.
L’attuale pandemia ha trovato tutti impreparati e privi di strategie adeguate. Ora è il momento di un esame di coscienza collettivo e personale, per poter ricominciare un cammino riconciliato. Non si invocano sentenze di tribunali e pubbliche accuse. Chi ha sbagliato riconosca l’errore, si scusi pubblicamente, sia perdonato e si ricominci a camminare nella riconciliazione, all’insegna della speranza quotidiana. Per inciso, la riconciliazione storica dovrebbe ricominciare da lontano, ma possiamo anche accontentarci se si comincia dall’ultimo periodo della pandemia. Il risentimento e le accuse lascino lo spazio alla relazione efficace. Il piano di ricostruzione non può essere affidato soltanto al denaro, che certamente è la prima necessità per chi ha perso salute e lavoro. I progetti, però, non lascino indietro i disperati che temono di non farcela, perché non trovano una base girevole sulla quale appoggiarsi. La nostra civiltà, smarrita tra i sentieri sassosi delle solite parole vuote, avverte il bisogno urgente di guardare oltre il cancello di casa.
Camminando per le nostre città, spesso si ha l’impressione di incontrare solo persone disperate, mentalmente e psicologicamente. Sono tristi, depresse e senza sorriso. Purtroppo i bollettini quotidiani di morti, contagiati e vaccinati riempiono le nostre giornate di numeri, non di storie di persone. Si è usato perfino il termine “spalmare” riferito ai morti, che hanno superato di diverse migliaia il numero di centomila. La bellezza della vita che nasce, di un giovane dal viso pulito, di un fiore che spunta dal terreno incolto si può ancora definire motivo di gioia? Tutto, mentre i termini apertura, chiusura e coprifuoco sono in prima fila nel vocabolario del linguaggio quotidiano. Se per poco proviamo a chiudere gli occhi, siamo in grado di guardarci dentro, capaci di vivere l’avventura di un nuovo futuro e a sognarlo così:
– la nostra società lascerà largo spazio agli onesti e ai solidali;
– le leggi saranno approvate solo sui diritti, non su presunti desideri;
– i politici non continueranno a offendersi a livello personale, ma saranno interessati a proporre solo progetti veri, finalizzati a soddisfare i bisogni delle persone che rappresentano;
– le azioni del singolo mireranno non solo a migliorare la propria posizione, ma anche a non danneggiare l’altro;
– i vecchi saranno considerati la memoria storica di una civiltà, quindi un patrimonio, non pesi da relegare in luoghi senza nome, denominati soltanto con acronimi;
– la vita, comunque essa sia, sarà un dono da accompagnare, non un peso di cui liberarsi.
Se nel dopoguerra si sono dovute ricostruire le case, oggi è inderogabile ricostruire il cuore e le intelligenze delle persone, amate tutte indistintamente da Dio. Così Manzoni concludeva il suo grande romanzo i Promessi Sposi: I guai vengono bensì spesso perché ci si è data cagione, ma la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e quando vengono per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore.
Emilia Polidoro, laureata in lettere a Napoli con illustri docenti tra i quali Amedeo Maiuri (Archeologia e storia antica) Ernesto Pontieri (Storia) Alfonso Tesauro (Diritto costituzionale) ora scomparsi ed altri, ha prestato quaranta anni di servizio presso le scuole Statali di secondo grado, espletando vari servizi istituzionali: componente di vari comitati tecnici provinciali per il recupero dei giovani a disagio, contro la dispersione scolastica, di giornali diocesani e locali. Componente del progetto SISS presso l’Università di Chieti, è stata coordinatrice di progetti specifici per docenti. Ha ricoperto la funzione di presidente agli esami di stato, anche a Milano, e per l’attribuzione di premi letterari. Attualmente in pensione, vedova del primo diacono permanente della diocesi di Lanciano- Ortona, ha fatto parte anche del Centro Vocazioni. Attualmente si dedica alla ricerca storica e alla pubblicazione di testi storici specifici. Nel 2004 ha ricevuto dal Comune di Ortona il premio “28 dicembre”. Il 16 ottobre 2010 ha ricevuto da Sua Santità Benedetto XVI il titolo di dama di S. Gregorio Magno. Nel 2014 ha ricevuto il premio nazionale all’educatore, su proposta del sindaco del Comune di Ortona.