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È NATO “AI OPEN MIND”, NUOVO HUB DI CONFRONTO E PROGETTUALITA’ IN MATERIA DI INTELLIGENZA ARTIFICIALE. DOVE ANCHE IL DIRITTO DEVE EVOLVERSI

Diritto dell’Informazione è Media Partner dell’iniziativa e pubblica tra gli esiti del Live Meeting Opening Ai Open Mind di ieri il contributo dell’Avv. Eugenio Tamborlini dal titolo: “Smart contracts: dall’uso all’abuso il passo è breve”

by Redazione
9 Luglio 2021
in Dicono di noi
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È NATO “AI OPEN MIND”, NUOVO HUB DI CONFRONTO E PROGETTUALITA’ IN MATERIA DI INTELLIGENZA ARTIFICIALE. DOVE ANCHE IL DIRITTO DEVE EVOLVERSI
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Ormai è consuetudine concludere contratti con sistemi di intelligenza artificiale. Ma sono effettivamente loro la nostra controparte negoziale? E fino a che punto il meccanismo che sta alla base del loro funzionamento può prevalere sulle regole di diritto che disciplinano il contratto che stiamo perfezionando attraverso questi sistemi? L’intervento dell’Avv. Tamborlini proverà a rispondere proprio a questi interrogativi.

Il fenomeno dei cosiddetti smart contracts, comprende una serie di protocolli informatici che facilitano, verificano o fanno rispettare la conclusione o l’esecuzione di un contratto.

Ne abbiamo esempi nella pratica di ogni giorno: si pensi ad Amazon, alla possibilità non solo di effettuare un acquisto senza una controparte fisica, ma al fatto che – grazie agli algoritmi che regolano il motore di ricerca e profilano i gusti dell’utente – il nostro interlocutore virtuale è in grado di sostituire in tutto e per tutto il negoziante fisico, non soltanto per aiutarci trovare quello che stiamo cercando (in una versione più rapida e attuale dell’ormai desueto “vado a vedere se ce l’ho in magazzino”), ma anche per consigliarci acquisti alternativi (nella sezione “prodotti correlati”) o complementari (nella sezione “spesso comprati insieme”). O si pensi ai pagamenti disposti con la carta di credito, la cui convalida passa attraverso la creazione di un codice temporaneo ad hoc (otp), che va digitato per confermare l’operazione e sostituisce la firma del titolare.

A ben guardare, il dubbio se possa considerarsi valido un contratto concluso con un’intelligenza artificiale sembra un falso problema, dovuto all’errato utilizzo della preposizione “con”, al posto della quale andrebbe invece utilizzato “attraverso”.

Ci siamo posti il dubbio se i sistemi di intelligenza artificiale possano essere considerati o meno soggetti di diritto. Ci siamo chiesti se Caterina, il robot colf del noto film degli anni Ottanta con Alberto Sordi, possa invocare l’applicazione dello statuto dei lavoratori; se K.I.T.T., l’auto a guida autonoma della serie Supercar, debba risarcire i danni in caso di incidente; se Terminator possa essere processato e condannato per omicidio.

In assenza – allo stato – di elementi normativi che possano consentire una risposta affermativa, si deve escludere una soggettività di diritto del sistema di intelligenza artificiale. Di conseguenza, non sembra sussistere alcuna differenza giuridicamente rilevante tra il contratto concluso con Amazon e quello concluso con la Coca-Cola quando si inserisce la moneta nel distributore e si ritira la lattina. In entrambe le ipotesi, l’imprenditore ha sostituito il proprio commesso con un sistema di automazione (più o meno evoluto, a seconda dei casi). La macchina, quindi, non è il contraente, ma soltanto l’esecutrice dei processi cognitivi e volitivi a cui il contraente ha affidato la conclusione del contratto.

Sotto il profilo giuridico, l’imprenditore si trova in una situazione di perenne offerta al pubblico e quando l’acquirente compie i passaggi necessari (inserimento della moneta, click  su “procedi all’ordine” o richiesta verbale ad Alexa), questo comportamento concludente vale come accettazione e si perfeziona quindi lo scambio del consenso, che produce l’efficacia del contratto.

L’elemento psicologico della macchina non può quindi rilevare, semplicemente perché non esiste. Dunque, il problema specifico circa la validità del consenso può sorgere solo nella misura in cui il malfunzionamento della macchina abbia determinato una divergenza tra il risultato voluto ab origine dalle parti e quello invece effettivamente ottenuto.

Tutto ciò, però, riconduce non ad una ulteriore o diversa volontà negoziale, ma soltanto allo strumento che una delle due parti ha deciso di utilizzare per erogare i propri servizi o vendere i propri prodotti. Dal flipper al distributore di bibite, fino ai più complessi sistemi del commercio online, ci troviamo comunque davanti ad un filtro meccanico-esecutivo del rilascio del consenso e dell’esecuzione della prestazione, predisposto da uno dei contraenti.

Quando la macchina “mangiava” la moneta senza consegnare la lattina, ci si rivolgeva al gestore; adesso se viene consegnato un bene diverso da quello ordinato si presenta un reclamo per chiedere la sostituzione o la risoluzione del contratto. E così come a suo tempo nessuno ha mai pensato di citare in giudizio un flipper se non consentiva di iniziare la partita, sarebbe assurdo pensare oggi di poter far causa ad Alexa perché ha capito male il titolo e ci ha fatto recapitare il libro sbagliato.

Se, dunque, dal punto di vista dell’acquirente non cambia nulla, occorre invece evitare l’errore di pensare che, dal punto di vista del venditore, la procedura automatica – che indubbiamente agevola lo scambio del consenso, sia per ragioni di tempo: basta un click, sia per ragioni di spazio: non mi muovo da casa – possa imporsi, sotto il profilo regolamentare, sulle norme di diritto che disciplinano il tipo di contratto concluso.

Faccio un esempio pratico accaduto realmente: Tizio riceve un’email dal proprio gestore, che gli ricorda la scadenza del dominio e la necessità di fare il pagamento annuale di 50 euro; senza approfondire la questione, Tizio clicca sul link e si trova di fronte alla schermata del pagamento, che esegue inserendo i dati della carta di credito; legge sul suo telefonino solo l’anteprima del messaggio della carta che gli comunica il codice otp per confermare l’operazione e digita il numero. Solo dopo aver aperto l’intero messaggio, Tizio si accorge di aver autorizzato un pagamento di 1.500 euro ad un soggetto diverso dal presunto destinatario; e che, conseguentemente, l’e-mail era in realtà falsa, inviata da un indirizzo simulato e strumento di una truffa ben congegnata. A quel punto, Tizio avverte immediatamente il servizio clienti, blocca la carta e presenta denuncia online alla polizia postale, trasmettendo il tutto alla società emittente la carta di credito, spiegando via pec l’accaduto e intimando di non procedere al pagamento nei confronti del truffatore (che è comunque un esercente convenzionato con la società emittente la carta di credito e quindi a lei noto, mentre è sconosciuto a Tizio che non ha modo di contattarlo direttamente).

La società emittente si trincera dietro la corretta esecuzione dei “protocolli di sicurezza” (digitazione del codice otp), trascurando tutte le altre norme regolanti il rapporto; quali, ad esempio:

  • l’art. 1176 cod. civ.: “Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”;
  • l’art. 1375 cod. civ.: “Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”(è opportuno ricordare che la società emittente la carta di credito ha incassato una percentuale sull’importo pagato da Tizio, pur sapendo che si trattava di una truffa);
  • l’art. 1710 cod. civ. “Il mandatario è tenuto a eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia”.
  • gli artt. 1428 (“L’errore è causa di annullamento del contratto quando è essenziale ed è riconoscibile dall’altro contraente”), 1429 (“L’errore è essenziale: 1) quando cade sulla natura o sull’oggetto del contratto; … 3) quando cade sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente, sempre che l’una o le altre siano state determinanti del consenso;e 1431 cod. civ.: (“L’errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo”);
  • l’art. 1418 cod. civ.: “Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative …”. È opportuno ricordare che sono considerate norme imperative anche le norme penali che incriminano la condotta violenta, fraudolenta o profittatoria tenuta da una delle parti nella conclusione del contratto, come per esempio le norme sui reati di truffa, usura, circonvenzione di incapaci o estorsione;
  • l’art. 640 c.p. (“Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”).

Conseguentemente, il contratto dovrebbe essere nullo per violazione di norma imperativa, o quantomeno annullabile per errore essenziale e riconoscibile; perché la società emittente non ha agito con diligenza; perché non ha eseguito il contratto secondo buona fede, trovandosi anche in conflitto di interessi con il mandante, avendo incassato una commissione sul pagamento. Eppure, l’arbitro bancario finanziario non ha accolto il ricorso di Tizio: “Il Collegio osserva che la frode è stata possibile perché il ricorrente ha inserito le proprie credenziali, inclusa la OTP, dunque il ricorso viene respinto”.

Il sistema di integrazione della volontà delle parti rappresentato dall’intelligenza artificiale si è quindi sostituito alle (non poche, come visto) norme di diritto che regolano la fattispecie, prevalendo su di esse. E, di fatto, giustificando il compimento di un reato per il solo fatto che il truffato si è lasciato ingannare; senza considerare che, con questo ragionamento, il reato di truffa non avrebbe ragione di esistere e si risolverebbe sempre con un “mi dispiace, potevi fare più attenzione”: la persona offesa dal reato, quindi, diventa essa stessa imputata di essersi fatta raggirare.

Secondo Stephen Hawking, “Il successo nella creazione di IA efficaci potrebbe essere il più grande evento nella storia della nostra civiltà, o il peggiore; non lo sappiamo, quindi non possiamo sapere se saremo infinitamente aiutati dall’IA o presumibilmente distrutti, a meno che non impariamo a prepararci ed evitare i potenziali rischi”.

Uno di questi è già più che concreto e consiste nel pericolo che la tecnologia, anziché porsi al servizio dei diritti per accrescerne la tutela, metta i diritti al suo servizio, sostituendosi ad essi e costituendo una sorta di ratifica di ogni comportamento negoziale, purché verificatosi in linea con il protocollo. Come visto, il risultato è aberrante e non può essere accettato nemmeno in nome di un risparmio economico (un computer costa meno di un dipendente) o di una maggior comodità di spesa (“basta un click”).

Sotto questo profilo, quindi, è quantomai auspicabile un intervento del legislatore, affinché sia riservato uno spazio all’accertamento dell’effettiva volontà delle parti e della liceità della loro condotta, che deve sempre prevalere sulle modalità di funzionamento dello strumento che una di queste ha ritenuto conveniente utilizzare per concludere il contratto; affinché il diritto possa dirsi validamente aiutato dalla tecnologia, ma mai costretto ad abdicare ad essa le proprie funzioni.

Cos’è AI open Mind?

Uno spazio – reale e virtuale https://www.aiopenmind.it/ArtificialIntelligence/ – di confronto e aggiornamento sui temi più ampi legati all’evoluzione della società in civiltà dell’informazione, nato iniziativa di Mathema by Accademia di Comunicazione e di un gruppo di professionisti tra programmatori, informatici, comunicatori, insegnanti, sociologi, manager, accademici, giornalisti, relatori e funzionari pubblici e designer, appassionati di intelligenza artificiale e intenzionati a condividere e ampliare conoscenze e applicazioni di IA. Creatività, tecnologia e design sono ingredienti fondamentali per progettare nuovi modi di lavorare, studiare, dare servizi, assistenza e cooperazione. È necessaria una corretta alfabetizzazione e informazione su AI, rendendo ‘user friendly’ questa innovazione tecnologica e facendo chiarezza sulle implicazioni che ogni grande innovazione tecnologica porta con sé, per sostenere lo sviluppo di una cittadinanza attiva rispetto alla crescita esponenziale e alla pervasività del fenomeno dell’intelligenza aumentata. L’intento è anche divulgativo per dare a tutti la possibilità di conoscere le implicazioni di AI nel quotidiano e in prospettiva, operando una chiara distinzione tra ciò che è bio e ciò che non lo è, tra ciò che è analogico, reale, umano e ciò che è digitale, virtuale, e prodotto dall’uomo. Il sito web ospita già anche progetti concreti di utilizzo dell’AI nella nostra vita quotidiana e per la comprensione del reale ed è sempre aperto per nuovi innesti e contributi: una community aperta e inclusiva ove condividere costantemente idee, progetti, riflessioni e innovazione per una convivenza consapevole e proattiva con l’AI.

Chi è Eugenio Tamborlini

52 anni, sposato, ha tre figli e vive a Roma, dove esercita la professione di avvocato da 26 anni. Si occupa di diritto civile, diritto societario e diritto delle successioni, fornendo l’assistenza e consulenza legale in favore di banche, società di leasing e di factoring, gruppi imprenditoriali, persone fisiche e giuridiche. È docente presso la Scuola delle Professioni Legali della L.U.I.S.S., nonché autore di numerosi scritti in materie giuridiche.

 

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