L’episodio riguarda un politico francese eletto localmente e candidato alle elezioni legislative che non si è attivato per rimuovere subito i post razzisti, scritti da altri ma pubblicati sul suo profilo social. Motivazioni pertinenti e sufficienti confermano la responsabilità del ricorrente in qualità di uomo politico.
Il politico aveva fatto ricorso contro l’accusa di istigazione all’odio razziale o alla violenza, nei confronti di un determinato gruppo di persone, per ragioni di religione o di razza. La vicenda, secondo la Corte europea dei diritti dell’Uomo, non vìola la libertà di espressione, garantita dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, per tre ragioni.
Innanzitutto, la legge francese dal 1982 prevede una responsabilità “a cascata” che consente di condannare sia gli autori dei messaggi incriminati sia il ricorrente in quanto titolare dell’account Facebook. In secondo luogo, bisogna considerare il periodo elettorale in cui sono stati condivisi i post, un periodo durante il quale veicolare un messaggio di odio aveva un peso mediaticamente superiore. In ultimo, in considerazione del fatto che la libertà di espressione non ha solo lo scopo di proteggere la reputazione e i diritti di terzi ma ha anche l’obiettivo di assicurare la difesa dell’ordine pubblico e di prevenire il crimine, il ricorso è stato respinto.
(C.D.G.)