Protagonista del procedimento è un’atleta austriaca, una mezzofondista professionista che è stata riconosciuta colpevole per aver agito in violazione delle disposizioni antidoping austriache.
Nello specifico, la commissione giuridica austriaca in materia di antidoping (ÖADR) ha dichiarato invalidi tutti i risultati che l’atleta aveva ottenuto nel periodo preso in esame, revocandole i diritti di partecipazione e/o i premi in denaro e vietandole anche di partecipare a competizioni sportive di qualsiasi natura per un periodo di quattro anni.
In aggiunta, l’Agenzia antidoping indipendente austriaca (NADA) ha indicato l’atleta in questione nella tabella degli sportivi sospesi presente sul proprio sito internet. In questo documento, accessibile al pubblico, è stato riportato non solo il nome dell’atleta, ma anche le violazioni delle disposizioni antidoping da lei commesse e il periodo di sospensione.
L’atleta, in seguito a tali pubblicazioni, ha avanzato una richiesta di riesame della decisione dinanzi all’USK, che ha chiesto indicazioni alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Nello specifico, ci si domandava se la pubblicazione su Internet dei dati personali di un atleta professionista coinvolto in un caso di doping fosse compatibile con il Regolamento Generale sulla protezione dei dati (Gdpr).
Secondo l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea il Gdpr non si applica alle circostanze di fatto della causa. Le disposizioni antidoping, infatti, riguardano le funzioni sociali ed educative dello sport e, non essendoci un collegamento tra le politiche antidoping e il diritto dell’Unione, il Gdpr non può disciplinare tali attività di trattamento. Inoltre, la divulgazione al pubblico e la conseguente ingerenza nei diritti degli atleti professionisti viene giustificata dall’obiettivo di dissuadere i giovani atleti dal commettere tali infrazioni e di impedire che il professionista coinvolto possa continuare a gareggiare.
L’avvocato suggerisce quindi una risposta negativa al quesito posto, sostenendo che non vi sia alcuna violazione della privacy nel divulgare i dati del caso dell’atleta attraverso il sito Internet di un’autorità nazionale. Si tratterebbe infatti di un’azione adeguata e necessaria per raggiungere l’obiettivo della funzione preventiva di dissuasione e per informare i soggetti interessati.
L’ultima parola spetta ora ai giudici della Corte, che potranno conformarsi oppure discostarsi dalla tesi dell’avvocato.
M.M.