Per un avvocato la diffusione tramite social network di un pensiero critico, manifestato con espressioni deplorevoli o che rechino disonore all’Avvocatura e alle Istituzioni forensi, rappresenta una violazione deontologica.
È questo il caso dell’avvocato che ha concluso un’istanza dichiarando che “si confida nella Giustizia (se ne esiste ancora un barlume!)” e, dopo esser stato per questo apostrofato come “maleducato” dal Presidente del Tribunale dinanzi agli altri magistrati del collegio, ha deciso di pubblicare un lungo comunicato sulla propria pagina Facebook dal titolo “Quando criticare la giustizia diventa lesa maestà”.
In questo comunicato l’avvocato esprimeva critiche e giudizi negativi sugli ordini professionali, sostenendo come i ritardi e le decisioni dei magistrati contribuissero a creare un senso di sfiducia nella giustizia. Particolarmente attaccata era poi la giustizia locale, poiché secondo l’avvocato i provvedimenti della magistratura sembravano “frutto di pregiudizi, come se tutto qui in Calabria fosse marcio”.
Richiamato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (COA) per far luce sulla vicenda, l’avvocato è rimasto fermo sulle proprie posizioni ed ha evidenziato come le sue dichiarazioni avessero avuto particolare risonanza, a dimostrazione della loro fondatezza.
È seguito un procedimento disciplinare per il carattere diffamatorio di tali affermazioni e, secondo il giudice disciplinare, le parole dell’avvocato non perseguivano scopi di interesse sociale, ma avevano l’obiettivo di gettare discredito sull’operato e sulla reputazione della magistratura. È stata quindi evidenziata la differenza tra la legittima libertà di espressione e lo sfruttamento di un avvenimento come pretesto per esprimere valutazioni o affermazioni dal contenuto diffamatorio, in toni volgari e lesivi dell’onore altrui.
Il Consiglio Nazionale Forense (NCDF), con la sentenza n.57 del 2023 ed accettando in parte il ricorso intentato dall’avvocato, ha deciso di sanzionare il professionista con il provvedimento della censura.
Secondo il consiglio appare infatti evidente la violazione dell’art. 19 NCDF per cui “l’avvocato deve mantenere nei confronti dei colleghi e delle Istituzioni forensi un comportamento ispirato a correttezza e lealtà”. Il diritto di critica nei confronti di un provvedimento giudiziario rimane una facoltà inalienabile, ma tale diritto deve essere esercitato nel rispetto della funzione giudicante.
Sussiste anche la violazione del divieto di uso di espressioni offensive o sconvenienti (art. 52 n. 1 del NCD), poiché l’espressione oggettivamente offensiva riveste rilievo deontologico a prescindere dalla veridicità dei fatti che hanno dato luogo alla presentazione dell’esposto.
Infine, le espressioni usate dall’avvocato risultavano oggettivamente irrispettose e l’erroneità di un provvedimento giurisdizionale non è sufficiente a derogare al divieto di usare espressioni sconvenienti ed offensive in sede di sua critica (regola deontologica art. 53 c.1).
M.M.