Il finanziere per tramite del proprio legale aveva sostenuto che il suddetto scritto riportava nel proprio titolo “truffa del superfinanziere“, ed indicava nel corpo del testo lo stesso come imputato per truffa, mentre all’epoca egli era in verità solo indagato per tentata truffa e non per truffa consumata (come veniva invece scritto nell’articolo).
Il finanziere aveva lamentato, quindi, che erano state gravemente lese il suo diritto all’onore, reputazione ed immagine, chiedendo la condanna in solido dei convenuti al risarcimento dei danni non patrimoniali da liquidare anche in via equitativa; aveva fatto istanza, inoltre, che i convenuti fossero condannati a pagare un’ulteriore somma a titolo di riparazione pecuniaria ex art. 12 L. 47 /1948 e che fosse disposta la pubblicazione per estratto della sentenza ex art. 120 c.p.c..
Il Giudice di prime cure aveva ritenuto non diffamatorio l’articolo, sostenendo che i suddetti errori in esso contenuti non avevano scalfito l’aderenza al vero della ricostruzione complessiva, ravvisando la sostanziale corrispondenza dello scritto alla realtà, rigettava quindi la domanda del ricorrente.
Il finanziere, tuttavia, impugnava tale sentenza innanzi alla Corte di appello di Roma, la quale con la sentenza n. 6470/2022 pubblicata il 17 ottobre 2022, accogliendo l’appello proposto.
La Corte di merito aveva affermato che “La falsità dell’addebito (essere imputato per aver effettivamente intascato a seguito di attività truffaldina cinque milioni di dollari) non può ritenersi sfumata e assorbita dall’essere effettivamente l’appellante indagato per un altro episodio meramente tentato”.
L’articolo secondo la Corte doveva quindi ritenersi diffamatorio.
Conseguentemente procedeva alla quantificazione del danno non patrimoniale sulla base di elementi presuntivi, utilizzando le tabelle emanate dal Tribunale di Milano in materia, e determinava il risarcimento a carico degli appellati in solido in euro 25.000,00. Aggiungeva a detta somma, l’importo di euro 5.000,00 a carico solo del giornalista ai sensi dell’art. 12 legge 47 del 1948.
Il giornalista redattore dell’articolo, il direttore responsabile e l’editore proponevano dunque ricorso per cassazione.
Ebbene, con l’ordinanza interlocutoria n. 12239/2024 la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione ha ritenuto che in relazione alla questione posta nel primo motivo del ricorso per cassazione (concernente il rilievo che assume, al fine della ricorrenza della diffamazione e della invocata scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, la circostanza che, al soggetto che si assume leso dall’articolo di stampa, sia stata attribuita la qualità di imputato, piuttosto che quella corretta di indagato, e la commissione di un reato consumato piuttosto che in realtà quella di un reato tentato), vada disposta la rimessione del ricorso alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, in quanto, dalla disamina delle varie pronunce di legittimità civili e penali in merito, pare emergere un contrasto interpretativo tra ambiti giurisdizionali (quello penale e quello civile) e che, per il rilievo mediatico e le ricadute pratiche sull’esercizio del diritto all’informazione, costituente un’importante funzione della vita pubblica, acquista al contempo anche le caratteristiche di una questione di massima importanza sulla quale è necessario un intervento delle Sezioni Unite.
di Daniele Concavo – Avvocato del Foro di Milano con particolare esperienza nel mondo del Fitness e nella tutela della reputazione aziendale e personale. L’Avv. Concavo è Cultore della materia di Diritto dell’informazione, Diritto europeo dell’informazione e Regole della comunicazione d’impresa con il Professore Ruben Razzante all’Università Cattolica di Milano.