Ancor più della psicosi del contagio da coronavirus sta facendo breccia nell’opinione pubblica il terrore dell’isolamento. Dopo aver minimizzato i rischi e dopo averli enfatizzati forse oltre il dovuto, il governo Conte bis, a furia di stop and go, sta spiazzando ogni giorno gli italiani, sempre più disorientati e storditi dalla confusione di messaggi e linguaggi nella quale si sentono avvolti. Oggi più che mai si può affermare che il caos regna sovrano.
La comunicazione ufficiale del governo, fin dall’inizio dell’allarme, è apparsa frammentaria e contraddittoria, caotica e confusa, fatta di incertezze, ripensamenti, fughe in avanti, pericolosi arretramenti nel recinto del politically correct.
Il virus sta contagiando migliaia di italiani, e questo è innegabile. Il sistema sanitario è in affanno e questo è altrettanto incontrovertibile. Nessuno, quindi, né la maggioranza né le opposizioni possono in questo momento ergersi a paladini unici della salute degli italiani e rivendicare un monopolio morale nella battaglia contro il coronavirus. Il Paese ha bisogno di rimanere unito, al di là delle sterili rivendicazioni territoriali e dei tatticismi dei singoli partiti. Ma una riflessione sul modo con cui il governo in carica e alcune regioni stanno conducendo questa impegnativa sfida al virus si impone. Sia per onestà intellettuale sia per evitare che altri errori si aggiungano a quelli, marchiani, già commessi.
Una delle criticità più perniciose in situazioni di emergenza come quella che stiamo vivendo si lega al cosiddetto effetto annuncio. Producono effetti più perversi le anticipazioni di una misura da adottare che non il contenuto della misura stessa. Se n’è avuta la riprova sabato notte, allorquando il Consiglio dei ministri ha varato l’ultima delle ordinanze restrittive attualmente in vigore e che varrà fino al 3 aprile. Gli italiani, anche in questa circostanza, si sono divisi tra i filo-governativi, allineati pienamente ai contenuti del documento, che ritengono puntuale nell’elencazione dei divieti per chi vive nella “zona rossa” (estesa a tutta la Lombardia e a 14 province dell’Emilia Romagna, delle Marche, del Veneto e del Piemonte), e gli anti-governativi, che reputano eccessive le decisioni dell’esecutivo, anzi dannose perché rischiano di scatenare tensioni sociali e di alimentare un clima da caccia alle streghe (e agli untori), con conseguente collasso dell’economia. Ognuno in queste ore fa le sue valutazioni. Sui social si legge di tutto, dal post di un elettore dei Cinque Stelle indignato per questo “coprifuoco” e intenzionato a non dare mai più il suo voto ai grillini, al commento sarcastico dei filo-leghisti che plaudono al governo ma fanno notare che i governatori di Veneto e Lombardia per primi avevano invitato Palazzo Chigi, già tre settimane fa, a non sottovalutare l’allarme. E c’è anche chi denuncia le stranezze di un’ordinanza che vieta tutti gli spostamenti considerati superflui, autorizzando solo quelli per lavoro o per famiglia o per ragioni di salute, salvo poi consentire a categorie come i parrucchieri di tenere tranquillamente aperti i propri esercizi. Infine qualcuno evidenzia che una economia al collasso, strangolata dall’attuale “coprifuoco”, ben difficilmente potrà reperire altre risorse da investire nel settore della sanità, sempre più in ginocchio.
La verità nessuno la conosce, anche perché nessuno può prevedere l’evoluzione del virus e non esistono controprove su cosa sarebbe successo se in Italia non ci fosse stata la corsa ossessiva e frenetica ai tamponi. Ormai siamo pienamente immersi nell’emergenza e occorre dimostrarsi cittadini responsabili.
Ma, con analogo spirito costruttivo e collaborativo, occorre chiedersi: si può ritenere affidabile un’istituzione governativa, centrale o regionale, che dirami in anticipo il contenuto di un decreto così impattante sulle abitudini delle persone come quello circolato e poi definitivamente varato sabato in nottata? C’era proprio bisogno di divulgare prima dell’approvazione il testo di un decreto che di fatto isola la Lombardia e altre province cruciali per il sistema economico e produttivo del nostro Paese? C’era da aspettarsi che scattasse la fuga da Milano, che la gente si precipitasse in fretta e furia nelle stazioni ferroviarie lombarde per lasciare la nuova “zona rossa” per paura di non riuscire più a farlo nelle ore successive. Si racconta di treni e autobus partiti stracolmi dal capoluogo lombardo e diretti a sud. Quanto virus c’era su quei treni e su quegli autobus? Quanto il rischio contagio è stato moltiplicato esponenzialmente a seguito di quelle condotte isteriche e irrazionali, indotte da improvvide fughe di notizie dai palazzi del potere? Giuseppe Conte è anche un giurista. Conosce la ratio dei decreti emanati d’urgenza che, proprio per non produrre effetti destabilizzanti, devono rimanere segreti fino alla loro entrata in vigore. Evidentemente, però, non percepisce fino in fondo la delicatezza di errori madornali di comunicazione come questo, che rischiano di produrre danni enormi. Stesse considerazioni valgono per il governatore lombardo, Attilio Fontana, che è anche avvocato.
Forse è arrivato il momento di depoliticizzare al massimo gli annunci sul coronavirus e di centralizzare il più possibile la comunicazione istituzionale, quella neutrale e di pubblica utilità indirizzata ai cittadini, quella fatta di messaggi all’opinione pubblica possibilmente univoci, coerenti e non fuorvianti. Nominare una sorta di portavoce unico che parli alla nazione in modo chiaro, facendo sintesi di tutte le fonti medico-scientifiche o istituire una cabina di regia potrebbe contribuire a evitare fastidiose passerelle di politici, nazionali, regionali e locali, e guidare la popolazione italiana verso una matura consapevolezza di quanto sta realmente accadendo.