Il diritto all’oblio, previsto dal GDPR, è la modalità attraverso la quale l’interessato esercita il proprio diritto all’identità personale; attraverso di esso l’interessato può chiedere che venga eliminato ciò che si ritiene non debba essere ricollegato alla propria persona.
La pratica si esercita con un’apposita richiesta di rimozione delle informazioni personali che ci riguardano, al fine di limitarne la diffusione pubblica e la condivisione da parte di soggetti terzi.
Per quanto riguarda i siti web, invece, se non vi è un’esplicita richiesta, i gestori non sono tenuti a provvedere alla cancellazione, alla deindicizzazione o all’aggiornamento di un articolo di stampa, a suo tempo legittimamente pubblicato. Solo su domanda dell’interessato scatta per il gestore l’obbligo di provvedere “senza indugio”.
Secondo la sentenza n. 6806 della Cassazione, si respinge la pretesa del ricorrente di essere risarcito dall’agenzia di stampa Adnkronos, per aver lasciato sul sito la notizia del suo arresto per reati di droga, violando così il suo diritto all’oblio.
L’agenzia non aveva provveduto nei tempi prestabiliti dal diritto all’oblio a cancellare la notizia, perché non vi era più alcun interesse per i fruitori del sito a conoscere la storia. La notizia è stata cancellata solo dopo la richiesta del ricorrente.
La Corte Suprema ripercorre le norme e la giurisprudenza sul tema e si interroga sull’esistenza di un dovere generale circa la cancellazione di vecchie notizie. La risposta è che quel dovere non esiste. Un verdetto che non soddisfa il ricorrente e che considera l’obbligo dell’istanza troppo oneroso.
In realtà, la richiesta “non abbisogna né del ricordo a una difesa tecnica, né a consulenti di sorta e di conseguenza non genera alcun costo aggiuntivo”.
Al contrario, sarebbe troppo oneroso imporre ai gestori il controllo periodo delle informazioni e causerebbe conseguenze per la libertà di informazione.
(V.M)