In questo scenario in perenne evoluzione, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22341/2025 (depositata il 13/06/2025) della Quinta Sezione Penale, offre una nuova, intrigante prospettiva sui limiti del diritto di critica, specialmente quando si manifesta con toni “coloriti” o “volgari” sulle piattaforme social. Una pronuncia che, partendo da un’espressione di cattivo gusto, ridefinisce con lucidità i confini della continenza espressiva, invitando a una riflessione profonda sul “peso giuridico” delle parole nell’era digitale.
Il Caso Emblematico: quando una “Metafora” finisce Sotto la Lente della Cassazione.
La vicenda processuale trae origine dalla condanna di una signora ritenuta responsabile per il delitto di diffamazione a mezzo social network per aver offeso la reputazione di due coniugi attraverso diversi “post” su Facebook. Il punto focale del dibattito giuridico si è concentrato su una frase in particolare, pubblicata in un post del 3 febbraio: “sono convinta che (n.d.r. “Tizio”) non riuscirebbe a riempire il cesso di casa sua”.
Il Tribunale e la Corte d’Appello avevano confermato la condanna, ritenendo l’espressione lesiva della reputazione. La difesa dell’imputata ha proposto ricorso in Cassazione, eccependo, tra le altre cose, una violazione degli artt. 595 e 51 del codice penale, sostenendo che la frase incriminata non volesse significare altro che la scarsa capacità della persona offesa di attirare il pubblico, soprattutto in confronto all’opposta capacità dell’imputata di riempire le sale dei teatri. A detta della difesa, la Corte d’Appello avrebbe omesso di contestualizzare adeguatamente l’espressione.
Il requisito della “Continenza Espressiva” della critica ai tempi dei Social: una nuova interpretazione della Suprema Corte.
Il nucleo problematico su cui si è concentrata la Suprema Corte riguarda l’applicazione del requisito della continenza nell’esercizio del diritto di critica (scriminato dall’Art. 51 c.p.). La Corte d’Appello, pur avendo operato un raffronto tra l’espressione e il contesto dialettico, aveva concluso per il “palese superamento dei limiti della continenza”.
La Cassazione, invece, ha colto nel segno nel censurare questa conclusione. Ha riaffermato un principio cardine: se è vero che la continenza postula una “forma espositiva corretta della critica rivolta – e cioè strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione, che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione”, è altrettanto vero che detto limite non può ritenersi superato per il solo fatto dell’utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo di cui deve tenersi conto anche alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato.
In un contesto come quello dei “social network”, la valutazione della continenza deve considerare non solo il tenore del linguaggio, ma anche l’eccentricità delle modalità di esercizio della critica, fermo restando il limite invalicabile del rispetto dei valori fondamentali che si ritiene superato solo quando la persona offesa è esposta a pubblico disprezzo attraverso “commenti ‘ad hominem’ umilianti e ingiustificatamente aggressivi”.
Applicando questi principi al caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che la suddetta frase offensiva, “per quanto di cattivo gusto, non può propriamente dirsi diretta ad aggredire gratuitamente la sfera morale altrui o a esprimere un disprezzo personale“. Al contrario, era rivolta a rimarcare quella che, a giudizio dell’imputata, sarebbe stata un’incapacità della persona offesa di attirare il pubblico in occasione di eventi culturali. Pertanto, l’espressione non è stata considerata “gravemente infamante” al punto da superare il limite della continenza verbale.
La Cassazione ha, di fatto, ribadito che il diritto di critica, pur presupponendo espressioni oggettivamente offensive della reputazione, trova giustificazione se l’offesa non si traduce in una “gratuita ed immotivata aggressione alla sfera personale“, ma resta “contenuta” nell’ambito della tematica dalla quale la critica ha tratto spunto. Entro tali limiti, la critica, essendo espressione di valutazioni soggettive, può anche essere “pretestuosa ed ingiustificata, oltre che caratterizzata da forte asprezza”. La frase in questione, seppur “caratterizzata da forte asprezza” e “toni volgari”, non ha travalicato i limiti della continenza.
Conseguentemente, la Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata perché “il fatto non costituisce reato”, revocando anche le statuizioni civili.
Il Commento dell’Avv. Daniele Concavo.
Questa pronuncia si inserisce nel dibattito, spesso acceso, sul difficile bilanciamento tra libertà di espressione e tutela della reputazione online. Mentre la giurisprudenza più recente, come nel caso esaminato dalla sentenza 14196/2025 di cui all’articolo dell’Avv. Concavo ( https://dirittodellinformazione.it/diffamazione-a-mezzo-stampa-quando-la-verita-salva-e-il-condizionale-non-basta/ ), ha rafforzato l’importanza della verità della notizia e della rigorosa verifica delle fonti per la scriminante del diritto di cronaca, affermando che il “condizionale non basta” a escludere la lesività di espressioni insinuanti, nel diritto di critica i parametri sono intrinsecamente diversi. La critica, per sua natura, è soggettiva e può essere aspra.
La sentenza 22341/2025 non abdica al principio della continenza, ma ne offre un’interpretazione più elastica e attenta al contesto comunicativo digitale. Si ammette che un linguaggio “di cattivo gusto” o “volgare” possa rientrare nei limiti della critica lecita, a patto che non si traduca in una pura e semplice aggressione personale gratuita, non funzionale alla critica in sé. Questo significa che il focus del giudice deve spostarsi dalla mera forma linguistica (il “come” viene detta una cosa) alla funzione e allo scopo dell’espressione (il “perché” e il “cosa” si intende criticare).
Questa decisione potrebbe avere diverse implicazioni pratiche:
- Maggiore tolleranza del linguaggio online: Potrebbe offrire una maggiore “area di respiro” per gli utenti dei social che esprimono critiche aspre, anche con toni sgradevoli, purché la loro espressione sia riconducibile a una critica di un fatto o di un comportamento, e non a un attacco ad personam privo di finalità critica.
- Complessità nella valutazione giudiziaria: Richiederà ai giudici un’analisi ancora più attenta del contesto e dell’intento comunicativo, distinguendo tra l’offesa gratuita e la critica, per quanto pungente e/o di cattivo gusto. La linea di demarcazione tra “volgarità funzionale” e “aggressione gratuita” rimane sottile e affidata alla sensibilità interpretativa del giudicante.
Conclusione: il requisito della continenza del diritto di critica, un “Cantiere ancora Aperto”.
La sentenza 22341/2025 della Cassazione non è solo un verdetto su un singolo caso, ma una bussola importante che orienta l’interpretazione del diritto di critica nel labirinto delle interazioni digitali. Essa conferma che, nel bilanciamento tra libertà di espressione e tutela della reputazione, il diritto si sforza di adattarsi alle dinamiche comunicative moderne, pur mantenendo saldi i principi di fondo.
La questione non è se il linguaggio volgare sia auspicabile, ma se la sua presenza, in un contesto di critica funzionale, debba automaticamente configurare la diffamazione. La Cassazione, in questo caso, risponde negativamente, ponendo l’accento sulla sostanza della critica rispetto alla sua forma meno “raffinata”. In questo “cantiere aperto” del diritto penale dell’informazione nell’era digitale, l’invito è a una riflessione continua e sofisticata, che sappia decifrare il “nuovo algoritmo” delle parole in rete, distinguendo l’asprezza dell’opinione dalla gratuita e demolitoria aggressione. La reputazione digitale, in definitiva, è tutelata non solo dall’assenza di offese, ma anche dalla presenza di una critica consapevole, anche se espressa con toni particolarmente duri.
di Daniele Concavo – Avvocato del Foro di Milano con particolare esperienza nel mondo del Fitness e nella tutela della reputazione aziendale e personale.
L’Avv. Concavo è Cultore della materia di Diritto dell’informazione, Diritto europeo dell’informazione e Regole della comunicazione d’impresa con il Professore Ruben Razzante all’Università Cattolica di Milano.

















