La rapida diffusione delle nuove tecnologie e la loro crescente ingerenza nelle abitudini di vita di molte persone, hanno portato l’Unione Europea ad interrogarsi circa l’aggiornamento in alcune parti della direttiva 96/9/CE, relativa alla tutela giuridica delle banche di dati, e della direttiva 2001/29/CE, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione. Tali modifiche si sono rese necessarie al fine di introdurre regole comuni agli Stati membri e di assicurare agli autori di contenuti la possibilità di usufruire dei medesimi strumenti di protezione dei diritti anche nello spazio digitale.
Ciò ha portato all’introduzione della direttiva 2019/790, sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale del Parlamento europeo e del Consiglio, approvata il 17 aprile 2019 ed entrata in vigore il 6 giugno 2019, che si applica a tutte le opere e ad altri materiali protetti dal diritto d’autore a partire dal 7 giugno 2021, data entro la quale gli Stati membri dovranno recepirla, dandone comunicazione alla Commissione.
Fra le disposizioni generali, l’articolo 1 “stabilisce norme volte ad armonizzare il quadro giuridico del diritto d’autore e dei diritti connessi nel mercato interno” e prevede misure idonee ad adeguare l’ambiente digitale nonché il contesto transfrontaliero, garantendo così il buon funzionamento del mercato per lo sfruttamento delle opere ed altri materiali.
In tale ambito, l’UE ha identificato diversi settori di intervento, stabilendo all’articolo 2 e ss. le agevolazioni volte all’ottenimento delle licenze. In questa maniera si potrà raggiungere, da un lato, un giusto equilibrio tra diritti e interessi degli utilizzatori, dall’altro, diritti degli autori e degli altri titolari. I casi in cui è possibile tale utilizzo agevolato sono i seguenti:
- per scopi di ricerca scientifica (art. 3): gli organismi di ricerca o istituti di tutela del patrimonio culturale devono assicurare che le copie delle opere siano “memorizzate con un adeguato livello di sicurezza e possano essere conservate per scopi di ricerca”;
- per fini di estrazione di testo e di dati (c.d. text and data mining, art. 4): le riproduzioni e le estrazioni possono essere “conservate per il tempo necessario ai fini dell’estrazione di testo e di dati […] a condizione che l’utilizzo delle opere e di altri materiali non sia stato espressamente riservato dai titolari dei diritti in modo appropriato”;
- ai fini dello svolgimento di attività didattiche digitali e transfrontaliere (art. 5): ovvero “per consentire l’utilizzo digitale di opere o altri materiali esclusivamente per finalità illustrativa ad uso didattico, nei limiti di quanto giustificato dallo scopo non commerciale perseguito”. In questo caso è necessario che l’utilizzo dei dati avvenga “sotto la responsabilità di un istituto di istruzione” […] “e sia accompagnato dall’indicazione della fonte, compreso il nome dell’autore, tranne quando ciò risulti impossibile”;
- ai fini di consentire agli istituti di tutela del patrimonio culturale (biblioteche, musei, archivi o istituti per il patrimonio cinematografico o sonoro) di salvaguardare tale patrimonio (art. 6). Questo avviene attraverso la realizzazione “di copie di opere e altro materiale presente permanentemente nelle loro raccolte, nella misura necessaria alla loro conservazione e in qualsiasi formato o su qualsiasi supporto”.
Internet comporta, inoltre, una serie di difficoltà per gli autori, legate alla possibilità di ottenere la giusta remunerazione per la diffusione delle loro opere. Importante in questo senso è l’introduzione del “principio di una remunerazione adeguata e proporzionata”: agli autori e agli artisti (interpreti o esecutori), che concedono in licenza o trasferiscono i loro diritti esclusivi per lo sfruttamento delle loro opere o altri materiali, la direttiva prevede che venga garantita in ogni Stato membro una ricompensa adeguata (art. 18).
A garanzia di tale principio, viene introdotto l’ ”obbligo di trasparenza” che pone a carico di coloro ai quali è stata concessa in licenza o trasferiti diritti, di comunicare con periodicità annuale agli autori informazioni aggiornate sullo sfruttamento delle loro opere (art 19). È necessario poi che gli Stati membri si dotino di un meccanismo di risoluzione delle controversie che potrebbero insorgere in relazione al rispetto delle previsioni sugli obblighi di trasparenza (art. 21).
La direttiva prosegue poi con tre articoli, il 15, il 16 e il 17, che hanno dato luogo ad alcune critiche, come verrà meglio spiegato in seguito.
L’articolo 15, in tema di “diritti sulle pubblicazioni” (capo 1 – titolo IV), disciplina la “protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo online”. In questo caso viene in primis stabilito che è necessaria un’equa remunerazione non solo a favore dei tradizionali titolari di diritti (autori e interpreti), ma anche di altri soggetti (editori di giornali online) cui tali diritti siano stati trasferiti o concessi in licenza. In secondo luogo, in deroga alle regole ordinarie sul diritto d’autore, l’articolo estende agli editori di giornali, per l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni, il diritto di sfruttamento sulle opere (ovvero il diritto di riproduzione e quello di comunicazione al pubblico, stabiliti nella direttiva 2001/29/CE). Per gli editori di giornali a cui siano stati concessi in licenza i diritti, è prevista inoltre un’equa ripartizione del valore generato dalle pubblicazioni online. In questo caso gli editori possono chiedere una “quota del compenso previsto per gli utilizzi dell’opera” (art. 16).
Questi due articoli sono stati introdotti in quanto, a differenza della stampa tradizionale, il digitale ha reso difficile per gli editori recuperare dai titolari originali gli investimenti effettuati per l’acquisto dei diritti di utilizzazione delle pubblicazioni su internet. Tali disposizioni sono volte ad evitare che siti web si avvalgano di articoli giornalistici senza remunerare gli autori.
La concreta applicazione di questa norma dovrebbe avvenire tramite l’istituzione della “link tax”, un importo che le piattaforme di ricerca o di aggregazione delle notizie dovranno pagare alle testate giornalistiche per i contenuti di carattere informativo riprodotti online. La tassa sembrerebbe incidere non solo su interi articoli, ma anche su parti di essi con alcune eccezioni riguardanti singole parole, estratti molto brevi di pubblicazioni giornalistiche e collegamenti ipertestuali, ovvero i “link”, in quanto per loro tramite si può risalire alla testata su cui gli articoli sono apparsi originariamente.
La direttiva stabilisce inoltre all’articolo 15 che i diritti suddetti “non si applicano agli utilizzi privati o non commerciali delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte di singoli utilizzatori.” Sono esonerati quindi i siti open source come Wikipedia.
Esistono due problemi che riguardano gli articoli 15 e 16: in primo luogo, la direttiva non esplicita alcunché riguardo alle conseguenze per la violazione di queste norme. Inoltre, la tassa sui link potrebbe causare problemi applicativi, come dimostra quanto avvenuto in Germania e Spagna, laddove alcune piattaforme si erano mostrate indisponibili a fissare l’importo da versare agli aventi diritto. In conseguenza di ciò, diversi aggregatori di notizie (primo fra tutti Google News) avevano interrotto i loro servizi in questi Stati, generando una incidenza negativa sul pluralismo informativo. Sarebbe quindi auspicabile che su questi punti intervenga la normativa nazionale di recepimento fornendo utili precisazioni nella fase applicativa di questi articoli.
L’articolo 17 stabilisce invece che le piattaforme, per poter condividere i contenuti online, devono ottenere un’autorizzazione da parte dei titolari dei diritti sotto forma di licenza. In mancanza, le piattaforme saranno chiamate a rispondere delle violazioni, esonerando l’utente che le ha caricate, il che dovrebbe indurle a prestare il “massimo impegno” nel rimuovere i contenuti vietati, salvo che dimostrino di “aver agito tempestivamente” per limitare l’accesso agli utenti indisciplinati. Un’eccezione riguarda le aziende con un fatturato inferiore a 10 milioni di euro o che svolgono la propria attività da meno di 3 anni, le quali sono soggette ad obblighi meno gravosi. È evidente quindi che l’articolo si rivolge solo alle piattaforme più grandi.
Le criticità di tale disposizione risiedono nel fatto che i colossi del web vengono lasciati troppo liberi nel definire i meccanismi di controllo generale dei materiali caricati dagli utenti, con i conseguenti rischi connessi all’adozione di filtri e meccanismi automatici atti ad eliminarli. In aggiunta, sussistono difficoltà di implementazione di tali sistemi a causa della forte mole di contenuti quotidianamente trattati, oltre al problema della tutela del diritto di espressione degli utenti online. Un ulteriore aspetto è rappresentato dal fatto che la normativa non spiega cosa debba intendersi per “piattaforma online” con il rischio che ogni Stato recepisca la direttiva in un modo diverso e che i titolari del copyright più deboli restino privi di tutela.
Come predetto, le due norme citate (artt. 15, 16 e 17) hanno generato un forte dibattito e sono sorti dissensi nei confronti delle istituzioni europee, rallentando così i tempi di adozione della direttiva. Esemplare il caso della Polonia che, in data 24 maggio 2019, ha depositato alla Corte di giustizia un ricorso per l’annullamento della direttiva stessa (Causa C-401/19). Per il momento però l’obbligo da parte degli Stati membri di trasporla entro il 7 giugno 2021 è tuttora esistente ed essi dovranno arrivare preparati alla data predetta nell’eventualità in cui la Corte dovesse rigettare il ricorso. Tuttavia, una valutazione completa sull’efficacia della direttiva potrà essere effettuata solo all’esito del recepimento da parte di ciascuno Stato.