Il confine tra realtà e finzione sul web si è assottigliato fin quasi a scomparire. Fino a poco tempo fa chiunque poteva generare gratuitamente immagini semplicemente accedendo alla piattaforma e inserendo alcune parole chiave. L’azienda Midjourney, una delle più popolari piattaforme per la creazione di immagini fotorealistiche tramite intelligenza artificiale, ha introdotto ora la prova gratuita (per usare il software bisognerà pagare almeno 7 euro al mese), nel tentativo di arginare il recente afflusso di nuovi curiosi.
“Stiamo assistendo a quella che in gergo viene chiamata la “customerization” – spiega Matteo Flora, divulgatore e docente all’Università di Pavia – cioè il processo per cui strumenti che prima erano appannaggio esclusivo di chi aveva budget e competenze estremamente elevati, oggi sono alla portata di tutti”.
Dove non arriva l’IA generativa intervengono i cosiddetti “deepfake”, cioè i video e fotomontaggi che sfruttano gli algoritmi di apprendimento profondo per manipolare contenuti già esistenti.
Oggi possiamo “facilmente montare la faccia di qualcuno sul filmato di una rapina e farla sembrare vera – spiega Flora – bastano una app e una scheda grafica da gaming. Più una manciata di nostre foto, di cui i social ormai sono stracolmi”. Esempi concreti d’attualità sono le immagini di Papa Francesco che indossa un elegante piumino bianco, Trump che scappa braccato dalla polizia newyorkese, Putin in ginocchio davanti a Xi Jinping.
Linee guida simili sui contenuti “sintetici” sono state introdotte anche su Facebook e YouTube. Per contrastare il fenomeno, c’è già chi ragiona sull’uso di una filigrana che contraddistingue le immagini originali da quelle artificiali. Altrimenti, l’implementazione di restrizioni che blocchino l’uso di determinate parole chiave sui software generativi. “Tutto inutile – afferma Flora – ormai questa tecnologia è open source. Non si possono bloccare algoritmi e conoscenze che milioni di persone al mondo hanno già scaricato e che possono facilmente modificare”. Ormai il 49,1% degli italiani tra i 16 e i 64 anni si affida ai social – cioè alla principale cassa di risonanza dei fake – come fonte numero uno di informazione.
Ormai il web è assuefatto all’idea che tutto ciò che genera coinvolgimento emotivo diventa subito virale. Il rischio è che queste immagini cementino per sempre un mercato dell’informazione interamente basato sulla finzione. Un fenomeno contro cui le piattaforme combattono da anni ma che mai prima d’ora aveva avuto una tale diffusione e credibilità. Chi abusa di questi software ha il potere di trasformare la realtà del web in un concetto liquido.
(V.M)